di Mario Giardini
Come si misura la potenza di un animale o di un uomo? Sono calcoli difficili da fare, perché dipendono da molti fattori, alcuni dei quali conosciuti solo con approssimazione. E tutti assai variabili da soggetto a soggetto. Ma gli studiosi concordano sugli ordini di grandezza, e per quanto diremo ciò è sufficiente.
Un contadino di media costituzione, munito di vanga primitiva, impiegava fra le 100 e le 180 ore di lavoro per preparare un ettaro di terreno alla semina di cereali. Con una giornata di 10 ore lavorative, ciò implica fra i 10 ed i 18 giorni.
Lavoro e fatica immensi, ça va sans dire. E tempo assai prezioso, sottratto alla crescita, al raccolto e alle altre infinite attività della vita quotidiana.
Con un aratro di legno tirato da un bue di medie dimensioni, tale tempo si riduceva a circa 30 ore. Un aratro in ferro e una coppia di robusti cavalli da tiro compivano il lavoro in circa 10 ore nei terreni più duri, e circa 3 in quelli più soffici.
In tema di trasporti, un uomo adulto in salute può camminare per 10 – 15 km al giorno con un peso fino a 50 kg. Un bue non è di molto più veloce, ma è in grado di tirare un carro 10 volte più pesante. Cavalli da tiro specificamente allevati sono in grado di tirare un carro per 30 – 40 km al giorno. E carri passeggeri possono viaggiare fra i 50 ed i 70 km, purché si abbiano strade in buone condizioni. Come quelle romane, ad esempio. Dove messaggeri al galoppo coprivano fino a 380 km in un giorno.
Naturalmente, animali e persone potevano lavorare in gruppo. Ma esiste un limite sostanziale alla capacità umana di guidare in maniera efficace, cioè produttiva, gruppi di oltre venti animali. Ed esistono limiti legati anche alle condizioni in cui tale lavoro deve svolgersi. Ad esempio le strade e la necessità di non danneggiarle oltremisura con carichi eccessivi. Per questa ragione, i romani limitarono il carico utile di carri trainati da cavalli a 326 kg. Per quelli più lenti e pesanti, tirati da buoi, il limite era di 490 kg.
Stiamo confrontando la capacità di lavoro di quei motori primi costituiti dai muscoli umani ed animali. I numeri dicono che non sarebbe stato possibile lo sviluppo e la crescita di insediamenti permanenti nelle società contadine del neolitico, e di incrementare la produzione agricola, senza l’apporto di animali addomesticati per il tiro e la soma.
In termini moderni noi parliamo di energia, lavoro, potenza. Cerchiamo di tradurre quanto sopra nel nostro linguaggio quotidiano. Ma per farlo occorre definire correttamente i termini.
Tralasciamo le formule matematiche complesse che fanno largo uso di derivate ed integrali. Esprimiamoci, invece, in termini molto elementari. Se ad un corpo io applico una forza, cioè una qualunque causa capace di provocarne lo spostamento, io compio ciò che in fisica si definisce un lavoro.
Nella forma più semplice, il lavoro compiuto è quantitativamente definito come il prodotto della forza applicata per lo spostamento conseguito (del punto di applicazione della forza).
Le unità di misura utilizzate per quantificare il lavoro sono diverse a seconda del settore di riferimento. Così, abbiamo il Joule (lavoro compiuto quando una forza di 1 Newton sposta il suo punto di applicazione di 1 metro) nel Sistema Internazionale, ma anche il kWh (chilowattora) nell’elettrotecnica, la kcal (chilocaloria) in campo termico, ecc.
Un lavoro è sostanzialmente una cessione di energia da un corpo (o insieme di corpi) ad un altro corpo (o insieme di corpi). Tale cessione comporta spesso una conversione di energia da una forma ad un’altra (o più di una). Ad esempio, da energia termica a energia meccanica.
L’energia, dunque, nella sua forma più generale è definita come la capacità di un corpo, o insieme di corpi, di compiere un lavoro. Dunque l’energia ha le stesse “dimensioni” di un lavoro, e le stesse unità di misura.
Il lavoro compiuto nell’unità di tempo è ciò che chiamiamo potenza.
L’unità di potenza è dunque un lavoro unitario nell’unità di tempo. Vale a dire, riferendoci a quanto detto sopra, a 1 Joule al secondo. E questa unità, nel sistema internazionale di misure, si chiama Watt.
Il riferimento non è casuale. Nel 1782 fu James Watt a calcolare che un cavallo, impiegato in un mulino, fa un lavoro pari a 32 400 libbre piede minuto. Poi lo arrotondò, l’anno successivo, a 33000 libbre piede minuto (forza x spostamento x tempo).
Passando a unità di misura più “cristiane”, troviamo che 1 HP equivale a 745,7 W. O, se preferite, 0,7457 kW. Per fare ciò, bisogna convertire le libbre a Newton, i piedi a metri e i minuti in secondi.
Torniamo agli animali e all’uomo. Studi compiuti a partire degli anni ’30 (MaxKleiber fu uno dei pionieri, forse il più noto) hanno consentito di capire come un organismo trasforma il cibo ingerito e lo converte nelle forme di energia che lo mantengono in vita e gli permettono di spostarsi e di lavorare.
Il tema è troppo complesso per essere trattato qui. La conclusione è che un adulto in buona salute può lavorare diverse ore a una capacità intorno al 40/50% della propria massima capacità aerobica.
Questo corrisponde a una potenza fra i 400 ed i 500 W. Ma poiché il rendimento della conversione in lavoro è basso (20% circa) ciò si traduce in circa 80-100 W di potenza utile ai fini di compiere un lavoro.
Di fatto, per un uomo di 65 Kg, il valore di riferimento è 78 W. Per una donna di 55 kg, il valore di riferimento è 64 W.
Quanto sopra può esprimersi anche in maniera diversa.
In termini di energia, il valore picco della capacità aerobica di un uomo adulto è intorno a 1,5 – 3,5 MJ (milioni di joules; per confronto: 1 metro cubico di metano sviluppa fra 33 e 38 MJ, un litro di benzina fino a 42 MJ). Un buon atleta arriva intorno a 10 MJ. Ma i fuoriclasse raggiungono perfino i 45 MJ. I sollevatori di peso o i centometristi sono gli esempi classici in cui ciò che conta è lo “spunto”, cioè la potenza massima.
Usare gli esseri umani (come nella figura) quali prime movers, cioè motori primi, equivale a disporre di una potenza di picco massima di circa 1 kW. Ma può essere mantenuta per pochi secondi. Si può produrre una potenza di 300 – 400 W per alcuni minuti, in genere non più di dieci.
Per sforzi prolungati alcune ore, si torna ai valori detti prima: intorno agli 80 – 100 W. La potenza di una lampadina elettrica.
Ma abbiamo visto che un cavallo, in termini di capacità di lavoro, equivale a circa 10 uomini.
In pratica, entrambi, per ogni chilo di peso corporeo, forniscono una potenza pari ad 1 watt. L’asservimento di schiavi e uomini a fatiche inumane è raffigurato in questa illustrazione tratta dal De re metallica di Georg Bauer, alias Georgius Agricola, pubblicato nel 1530.
Rappresenta una macchina medievale di sollevamento acqua costituita da un’enorme ruota in legno che alloggia due uomini. I quali, camminando all’interno, la mettono in moto. Una serie di ruote dentate e pulegge convertono il moto circolare in un moto verticale di sollevamento.
Una immagine di fatica e asservimento inumane. Non sorprende dunque che nel corso dei secoli si siano cercate alternative alla potenza fornita dai muscoli. Vento ed acqua, cioè energia cinetica, furono le prime forme di energia non animale ad essere sfruttate. E lo rimasero per migliaia di anni.
Ma fu una coppia di oscuri iron–mongers, cioè fabbri, di nome Thomas Newcomen e John Calley, i primi a trasformare il calore in energia meccanica mediante una macchina a vapore. Ed a trovarvi un impiego pratico.
Ma la trasformazione non è diretta: richiede l’uso di un fluido (acqua da trasformare in vapore) capace di assorbire il calore e di trasformarlo in propria energia cinetica. E poi di un meccanismo di conversione dell’energia cinetica del fluido in energia meccanica.
Era l’AD 1712: molte centinaia di migliaia di anni erano trascorsi dalla scoperta e dall’addomesticamento del fuoco.
segue
pubblicato su www.thefrontpage.it
2.3.2015
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