di Mario Giardini
Prima di occuparci di Big Bang, universi inflazionari, multiversi, materia oscura, ecc, diamo una occhiata agli albori della cosmologia. Nel 1916 Einstein pubblicò la cosiddetta Teoria Generale della Relatività. Essa completava il lavoro pubblicato nel 1905, includendo una teoria generale della gravitazione. Pur non eccellendo in matematica, Einstein non la temeva. Le sue equazioni eleganti parevano possedere proprietà che avrebbero permesso di rispondere ad antiche domande sull’universo.
In particolare, le sue equazioni dimostravano che lo spazio-tempo non è piano, ma curvo. E la curvatura è provocata, ed è proporzionale, alla quantità di materia. O, più precisamente, in ciascun punto dipende dalla densità di materia presente in quel punto.
Il fatto che materia (ed energia) curvassero lo spazio-tempo permetteva di sperare in una geometria “chiusa”. Ciò significava, in sostanza, evitare l’idea (che non piaceva affatto ad Einstein e a moltissimi fisici suoi contemporanei) di un universo di dimensioni infinite. Era sufficiente, pensava Einstein, riempirlo della “giusta” quantità di energia e di massa per “piegare” l’universo fino a farlo diventare una sfera perfetta, finita, omogenea ed isotropa.
Facile pensarlo. Impossibile realizzarlo. Il problema è la forza gravitazionale, che è una forza attrattiva. Se la materia contenuta in uno spazio finito tende ad attrarsi, prima o poi si arriverà al collasso, cioè al big crunch. Questa è una realtà dinamica, non statica. Ed è a tutti evidente che la prospettiva di un universo che collassa su se stesso quasi istantaneamente non è piacevole. E, comunque, contrasta con l’esperienza: l’universo è lì fuori, possiamo tutti constatarlo, non è ancora collassato.
Gli astronomi dell’epoca potevano osservare, a malapena, solo la Via Lattea. La quale appariva, a tutte le verifiche, stabile. Non si contraeva, e neppure si espandeva. Einstein dunque era tra l’incudine e il martello. Da un lato, le sue equazioni della relatività predicevano un universo dinamico, che si contraeva (con ciò contraddicendo i dati sperimentali); dall’altro dati dell’osservazione parlavano di un universo stabile. Ne concluse (molto a malincuore, credo) che le equazioni della relatività erano errate. Quindi doveva esistere un qualche fenomeno fisico che agisse a scale cosmiche, ma fosse praticamente non rilevabile alle piccole distanze, quelle dell’esperienza quotidiana. Introdusse dunque la sua famosa costante cosmologica. Un termine che è zero su scala piccola, ma che aumenta all’aumentare della distanza. Il suo valore, stabilì Einstein, era tale da controbilanciare la forza di gravità. Dunque, questo parametro correttivo, che rappresentava una forza repulsiva a grandi distanze, manteneva in equilibrio l’universo, fornendogli una geometria finita.
Purtroppo per Einstein, il suo modello era instabile. La costante cosmologica aumenta linearmente con la distanza. La gravità diminuisce invece con il quadrato della distanza. Dunque, se in condizioni di equilibrio l’universo si espandesse per qualche ragione anche di una piccola quantità, l’aumento della costante cosmologica sarebbe maggiore della diminuzione della gravità, e dunque inizierebbe una espansione inarrestabile. Se, al contrario, ci fosse una piccola contrazione, allora la diminuzione della costante cosmologica sarebbe inferiore all’aumento della forza di gravità (attrattiva), e inizierebbe una contrazione inarrestabile.
Nel 1928 Hubble dimostrò sperimentalmente che l’universo era in espansione. Dunque, Einstein dovette constatare che la sua costante cosmologica non risolveva il problema della stabilità, e, comunque, contraddiceva il dato sperimentale. Con la sua consueta franchezza la definì “il più grande errore della mia vita”. E la cancellò dalle sue equazioni.
Passarono settant’anni circa. Alla fine degli anni Novanta, i cosmologi hanno scoperto che le galassie più distanti… stanno accelerando. Per spiegare il fenomeno, si è ipotizzato l’esistenza di una speciale forma di energia, l’energia oscura (dark energy), cioè di un tipo di energia che genera una forza gravitazionale non attrattiva, ma repulsiva. E tale forza sarebbe responsabile dell’accelerazione delle galassie.
Applicando la teoria della relatività generale al fenomeno, si è constatato che occorre aggiungere un termine costante per poter rappresentare gli effetti della dark energy. Un termine costante? Non sarà mica…? Sì, proprio quella costante: la costante cosmologica di Einstein. Sono in corso misurazioni per stabilirne il valore (che Einstein aveva posto pari a 1).
Nella teoria della relatività generale c’è una equazione da integrare che permette di stabilire che la geometria dello spazio-tempo eguaglia la massa-energia. Collocando la costante cosmologica al primo membro dell’uguaglianza, essa diventa un fattore correttivo. Se posta al secondo membro, con il segno meno, essa indica invece la presenza di un qualche fenomeno fisico capace di generare gravitazione repulsiva: dark energy.
Peccato. Einstein non credette sino in fondo alle sue equazioni, e quando Hubble parve dimostrare che fossero errate, lui ne convenne. Nella realtà, non lo erano affatto. Ci avesse creduto un pochino di più, come altre volte aveva fatto per altri aspetti della sua teoria, oggi lo festeggeremmo anche come l’uomo che scoprì l’espansione dell’universo per via puramente teorica.
Nota: Nel 1919 fu ideato un esperimento per verificare che la gravità curva lo spazio. Einstein era così sicuro del fatto suo che a un giornalista che domandava: “Cosa accadrà se le misure dimostrano che lei ha torto?”, lui rispose: “Bisognerà misurare meglio.”
Commenti