di Mario Giardini
Premessa: Questo articolo è leggermente più tecnico dei precedenti. Ma come vedremo, i concetti sono piuttosto semplici da capire.
Studiare un universo non statico ma in espansione significa, in sostanza, costruire un “modello” (matematico) che lo rappresenti, ne descriva lo stato attuale in accordo con i dati sperimentali disponibili e dia conto anche della sua evoluzione nel tempo.
Appare evidente che affinché si possa costruire tale modello, le leggi fisiche che abbiamo scoperto essere valide sulla terra devono potersi applicare all’intero universo. E, naturalmente, non devono mutare nel tempo, altrimenti non sarebbe possibile descrivere l’evoluzione dell’universo. Infine, essendo l’Universo per definizione tutto ciò che esiste, il modello diventa una “teoria del tutto”, nel senso che deve descrivere tutti i fenomeni noti, e non deve permettere che accadano eventi non rilevati sperimentalmente. Quest’ultima precisazione sembra pleonastica ma non è. Lo vedremo in seguito.
La teoria generale della relatività contiene equazioni che affermano l’eguaglianza fra la geometria dello spazio-tempo e la quantità totale di materia-energia dell’universo. Dunque sembrerebbe facile: si misura quest’ultima quantità, e poi si trova una geometria che sia consistente con essa. Col cavolo. Diamo un’occhiata prima al problema geometrico. Qualche dettaglio “tecnico” risulta indispensabile. Si parte dalla geometria detta di Minkowski (statica), resa dinamica da un fattore dipendente dal tempo, che viene chiamato fattore di scala (R(t)). Se il fattore di scala dipendesse in modo lineare dal tempo, allora avremmo una formula semplice per esso: costante x tempo.
Che significa? Significa che se due galassie distano x in un dato istante , in un istante successivo la loro distanza è aumentata di una quantità pari al tempo trascorso moltiplicato per il valore del fattore di scala. Vediamo subito che anche se l’universo fosse infinito, esso continuerebbe ad espandersi. E questa non è una conclusione banale.
Tralascio la spiegazione del perché, ma la geometria di Minkowski è una geometria piana, e non è quello che ci vuole per rappresentare nel caso più generale la geometria dell’universo. Nel 1936 Robertson e Walker, indipendentemente l’uno dall’altro, introdussero una rappresentazione più generale, usando coordinate sferiche, dove, accanto al fattore di scala di cui sopra, introducevano un termine k che rappresentava la curvatura dello spazio.
Se tale termine k è zero, la geometria diventa piana. Se è minore di zero, abbiamo una geometria iperbolica. Se k è maggiore di zero, la geometria è sferica. La cosa più importante è che il tipo di geometria dipende solo dal segno di k. Assegnando a k i valori 0, +1 e -1, si ottiene un risultato importante. Il fattore di scala diviene, per k diverso da zero, un fattore che indica la curvatura dello spazio in un determinato istante. Nel caso di geometria sferica, R rappresenta il raggio della sfera: cioè la dimensione fisica dell’universo. Più complesso da visualizzare il caso di geometria iperbolica; si può mostrare che, comunque, il fattore di scala rappresenta ancora la “lunghezza” dell’universo. Per k eguale a zero, dal fattore di scala dipendono molte importanti proprietà fisiche dell’universo.
Si può dimostrare che la metrica di Robertson-Walker rappresenta un universo isotropo e omogeneo, cioè un universo per il quale è applicabile il principio cosmologico. La legge di Hubble dice che le distanze in cui si trovano le galassie sono proporzionali al redshift. La costante di proporzionalità si chiama costante di Hubble. La “costante” di Hubble è un parametro cosmologico fondamentale. Dipende dal tempo, e dunque non è una costante nel vero senso della parola: ma in un universo omogeneo ed isotropo, in un determinato momento, ha lo stesso valore dappertutto.
L’inverso della costante di Hubble è un tempo, detto ovviamente tempo di Hubble: esso fornisce una misura dell’età dell’universo (osservabile). La distanza che la luce può percorrere nel tempo di Hubble viene detta lunghezza di Hubble. La sfera di diametro pari alla lunghezza di Hubble (sfera di Hubble) rappresenta il volume di universo che possiamo osservare: il cosiddetto universo visibile. Misurare la costante di Hubble è difficile. Le migliori stime danno un valore che porta l’età dell’universo intorno ai 15 miliardi di anni.
Dunque, siamo arrivati, per via sperimentale, a due conclusioni fondamentali. La prima: l’universo osservabile ha una età finita, cioè ha avuto un inizio (questo fatto fa sicuramente felice un creazionista). La seconda: se l’universo osservabile si espande, ciò vuol dire che oggi è più grande di quanto fosse ieri. Procedendo a ritroso col ragionamento, deve esserci stato un tempo in cui il suo volume era piccolo, piccolissimo. Zero?
Ci sono due sole possibili spiegazioni per l’inizio. La prima: l’universo ha avuto un’origine “spontanea”, cioè si sono verificate le condizioni affinché esso potesse nascere ed evolvere fino ad assumere l’aspetto che misuriamo oggi (dunque un qualsiasi modello deve spiegare quali furono le “condizioni iniziali”). Oppure qualcuno ha dato origine a tutto l’ambaradam. Cioè qualcuno ha “creato” (ex-nihilo?) l’universo. La domanda fra parentesi non è oziosa, lo vedremo quando parleremo di universi ciclici.
Riassumiamo. Einstein aveva mostrato che l’universo non poteva essere statico, neppure introducendo la costante cosmologica nelle sue equazioni. Hubble misurò sperimentalmente che l’universo era in espansione. La metrica di Robertson-Walker rappresenta la più generale geometria che si può immaginare per un universo dinamico, omogeneo ed isotropo. Un suo parametro importante è il fattore di scala R(t), che ci dice come le dimensioni fisiche dell’universo mutino nel tempo. Tale fattore è direttamente legato al redshift, cioè a come la lunghezza d’onda della luce muta a mano a mano che viaggia attraverso l’universo prima di arrivare a noi. Abbiamo messo insieme tutti gli ingredienti che servono per parlare di modelli cosmologici.
Prima di parlare di modelli relativistici, fermiamoci a considerare un universo newtoniano. Cioè un universo dove tutta la materia si attrae seguendo la legge di gravitazione universale. Se immaginiamo questo universo omogeneo ed isotropo, e pensiamo a una sfera di qualsiasi dimensione dove la materia è distribuita uniformemente, abbiamo una certa quantità di massa totale che esercita un’attrazione proporzionale alla massa e inversamente proporzionale al quadrato del raggio.
Una qualsiasi particella in movimento sulla superficie della sfera sarebbe attratta verso il centro come un uomo viene attratto dalla forza gravitazionale della Terra. Si può dimostrare che ciò che è fuori della sfera considerata non esercita alcuna forza: è come se non ci fosse. Quindi, da una parte avremmo una forza che attira la particella, e dall’altra l’energia cinetica della particella, proporzionale alla sua massa e al quadrato della sua velocità. La particella si comporta come uno Shuttle in orbita. Se la sua velocità, cioè la sua energia, è maggiore della velocità di fuga, la particella si allontanerà. Se è eguale, rimarrà in orbita. Se è minore, ricadrà sulla Terra.
L’energia cinetica per unità di massa dipende solo dal quadrato della velocità. Immaginando la stessa sfera di raggio infinito, arriviamo a dire che ci sono tre possibilità. Prima possibilità: la massa per unità di volume dell’universo è tale che l’energia all’infinito è zero, vuol dire che l’universo si espanderà indefinitamente, e la sua velocità di espansione diminuisce a mano a mano che il raggio dell’universo aumenta.
Seconda possibilità: l’energia all’infinito è negativa. Allora, ad un certo punto prevarrà la forza gravitazionale, l’espansione si arresterà, e reinizierà una contrazione che porterà ad un big crunch. Terza possibilità: l’energia all’infinito per unità di massa è maggiore di zero, cioè l’energia totale dell’universo è maggiore di zero. Allora l’espansione continuerà indefinitamente, il raggio tenderà all’infinito, e la velocità di espansione sarà sempre maggiore di zero.
Quindi anche un universo newtoniano non sfugge a questa regola evolutiva che appare generale: big crunch, tendenza delle dimensioni all’infinito con velocità finale zero, espansione infinita con velocità maggiore di zero.
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