di Mario Giardini
Nel 2013 sono stati movimentati con navi oltre 325 Miliardi di metri cubi (MMc) di gas naturale, prevalentemente metano. Nello stesso anno i consumi italiani sono stati di circa 65 MMc, di cui 5,5 importati via mare, quasi tutti dal Qatar (5,2 MMc). Le navi che trasportano GNL sono molto speciali.
Sono ancora un numero ridotto (un po’ sopra le 300 unità) ma in crescita. Oggi ce ne sono di capacità superiore ai 200 000 m3. Poiché un m3 di gas liquefatto a -163°C corrisponde a circa 621 m3 di gas a pressione e temperatura ambiente, una capacità di 200 000 m3 significa poter trasportare per ogni viaggio oltre 120 Milioni di m3 di gas.
Liquefare il metano è affare serio, costoso, pericoloso e complicatissimo. Un impianto da 10 Milioni di tonnellate anno (15 MMc circa) costa all’incirca 3 miliardi di dollari e richiede intorno ai 350 MW di potenza elettrica per comprimere e raffreddare il gas: una intera centrale elettrica al suo servizio.
Serve poi una flotta di 10 – 15 navi metaniere per il trasporto, ad un costo unitario superiore ai 200 Milioni, cioè un paio di miliardi, tre, abbondanti. Ed infine, nel paese d’approdo deve esserci un ri-gassificatore: un altro miliardo. Totale: 6 – 7 Miliardi.
Le navi metaniere inizialmente erano riconoscibilissime dai grandi serbatori sferici. Erano nate con propulsione a vapore, e si utilizzava lo stesso gas trasportato per alimentare le caldaie produttrici di vapore.
Col progredire della tecnica, sono state costruite navi la cui geometria è più efficiente (non sferica) e dunque di maggior carico a parità di dislocamento. Sono delle navi piuttosto veloci (intorno ai 20 nodi) e passano in mare la maggior parte del tempo: infatti la sosta in porto quasi sempre dura meno di un giorno.
Il gas liquefatto pone gravi problemi, non solo di sicurezza, al trasporto. Intanto, una frazione del carico (tra lo 0,11 e lo 0,15%) evapora ogni giorno, cioè passa dallo stato liquido a quello gassoso. Ecco il perché della velocità: prima si arriva, meno carico si ritrasforma in gas.
Questa parziale ri-gassificazione, che avviene anche durante il ritorno quando a bordo c’è sostanzialmente solo zavorra, può essere utilizzata per la propulsione e per altri servizi ausiliari. Infatti, una tipologia dei diesel marini utilizzati nelle navi metaniere sono i cosiddetti DFDE (dual fuel diesel-electric).
In pratica si sceglie di suddividere la potenza totale necessaria per la locomozione e i servizi di bordo e ripartirla fra molti ( in genere cinque) e diversi motori diesel, ciascuno capace di funzionare a gasolio e, alternativa, a gas.
I diesel muovono dei generatori elettrici, e l’elettricità consente la muovere l’elica tramite un motore elettrico usato per la propulsione. L’insieme fornisce anche l’elettricità necessaria agli altri servizi di bordo. Un numero elevato di motori consente anche di eseguire la manutenzione durante la navigazione. E’ la cosiddetta configurazione n+1. Dove per 1 si intende la riserva.
L’altra tipologia è la DLR, diesel low speed and re-liquefaction. Dal nome si intuisce lo schema di funzionamento: un motore diesel a basso numero di giri fornisce la forza per la locomozione, e altri motori diesel producono a bordo l’energia elettrica necessaria a ri-liquefare la parte di gas che evapora naturalmente.
Le porta-containers (ed il container stesso) sono una invenzione relativamente recente, dovute a un … camionista: Malcom Purcell McLean, nato in North Carolina nel 1914.
La classica lampadina si accese nel suo cervello un giorno del 1937. Esasperato per avere atteso un intero giorno, a bordo nave, che si scaricassero sul suo camion delle balle di cotone, si pose una semplice domanda: ma non sarebbe stato tutto più semplice se una gru avesse sollevato dal ponte un semi-rimorchio e lo avesse depositato a terra, per poi essere agganciato dalla sua motrice?
Rapido, semplice, e per giunta col vantaggio che non si sarebbe dovuto manipolare la merce col rischio di rovinarla, no?
Prova provata che anche XX secolo le buone idee rivoluzionarie e innovative non necessariamente nascono da rivoluzioni scientifiche o tecnologiche.
Fu solo nel 1955, però, che gli riuscì di mettere in pratica l’idea. Acquistata una petroliera veterana della seconda guerra mondiale, la riconvertì al trasporto non di semi-rimorchi, ma di contenitori dotati di appositi sistemi per essere agganciati e movimentati dalle gru portuali, e depositati su degli auto-articolati disegnati ad hoc.
Il 26 aprile 1956 fu compiuto il primo viaggio con la nave di nome Ideal X.
Trasportava solo 58 grandi containers (da 10,5 m, 35 ft), dal peso totale di circa 1000 tonnellate, e fece rotta da Newark a Houston.
L’era delle porta-containers era incominciata. Per 17 anni Mr McLean seguì fedelmente questo modello di business: acquisto di usato sicuro e riconversione. Poi si decise ad ordinare la prima nave appositamente progettata per il trasporto dei containers.
Nel frattempo l’intero trasporto containerizzato si espandeva, modificando anche il contesto a supporto, come i porti, le attrezzature a terra, la movimentazione pre e post-imbarco, il tracciamento delle spedizioni. Anche le burocrazie si sono dovute adeguare, rendendo le procedure doganali più snelle e semplificate.
Oggi le dimensioni delle navi porta-containers si misurano a TEU, vale a dire twenty-foot equivalent unit, la dimensione del container basico: 6,1 m x 2,44 m x 2,59 m. Volume complessivo: 38,5 m3. Negli anni ’70 vennero le prime navi mosse da diesel capaci di 3000 TEU.
Nel 1999 la Sven Maersk fu varata con una capacità di 7.500 TEU.
Durante il 2015 saranno consegnate una trentina di nuove e grandissime ULCS (Ultra Large Container Ship). Ce ne sono cinque in costruzione presso la Hyundai Heavy Industries (Corea), ciascuna con una capacità di 14.000 TEU.
Ma ne sono già state ordinate una decina con capacità di 18 – 19 000 TEU. Una corsa al gigantismo e alla riduzione dei costi di trasporto.
Uno dei principali committenti è la China Shipping Container Lines.
Alcune di queste unità non possono, causa dimensioni, transitare attraverso Panama, Suez o nello stretto di Malacca. Pertanto sono destinate a rotte lunghe, superiori perfino ai 20.000 km. Diventa indispensabile garantire velocità elevatissime, dell’ordine dei 26 nodi (oltre 48 km/h).
II che significa che i motori sono e saranno sempre più potenti. Quello della Emma Maersk (2006) monta un motore diesel Wartsila a 14 cilindri, lunghezza oltre 27 m, altezza 13,5 e pesante 2330 tonnellate.
Ogni cilindro ha un diametro di 96 cm e una corsa di 2,5 m. L’efficienza termica supera il 50%.
La potenza massima è 108.920 HP, corrispondenti a 80,1 MW. Un rapporto peso potenza di circa 28,72 gr/W.
Sebbene non si possa mettere a confronto la potenza di un turbofan (che dipende dalla velocità di volo) con la potenza di un motore diesel, è interessante osservare che un Rolls Royce Trent 900, motore dell’Airbus 380, ha un diametro di circa 3m, è lungo 4,5 m, pesa meno di 7 tonnellate e fornisce una spinta massima di oltre 35.000 Kg, equivalenti a circa 350.000 Newton.
Ciò equivale, in determinate condizioni, a una potenza massima intorno agli 80 – 90 MW, e ad un rapporto peso/potenza intorno ai 0,07 – 0,1 gr/W.
I quattro motori dell’Airbus 380 sviluppano dunque oltre 320 MW di potenza: quattro volte quella necessaria a muovere una nave lunga oltre 400 m e capace di caricare 14.700 containers da 20 piedi.
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