di Mario Giardini
L’istruttoria penale per il disastro di Ustica (27 giugno 1980) durò esattamente diciannove anni, due mesi e quattro giorni, essendo il rinvio a giudizio in data 31 agosto 1999. La sentenza di rinvio a giudizio incomincia con un’ammissione di sconfitta, non solo della Giustizia ma di tutti noi cittadini:
“Repubblica Italiana – in nome del Popolo Italiano – il Giudice Istruttore Dott. Rosario Priore ha pronunciato la seguente Ordinanza – Sentenza nel procedimento penale contro Ignoti imputati del delitto p. e p. dall’art.422, 1° comma C.P. per avere volontariamente determinato la caduta del DC9 dell’Itavia sulla rotta Bologna-Palermo, che precipitava in mare all’altezza di Ustica, intorno alle ore 21.00 locali del 27 giugno 80; evento nel quale trovavano la morte i 77 passeggeri del velivolo nonché i 4 membri dell’equipaggio.”
Segue il rinvio a giudizio per 48 imputati, alcuni di loro accusati di Alto Tradimento. Ma per il delitto principale, quello di strage, nessun imputato. Ignoti gli autori. Ciò nonostante, la sentenza di rinvio a giudizio è lunga esattamente 5467 pagine. Insomma, dieci romanzi molto corposi. Ho avuto la pazienza di leggerle tutte, queste cinquemilaquattrocentosessantasette pagine: ero curioso di capire come mai ci sono volute così tante parole per un rinvio a giudizio di imputati, tutto sommato, per reati minori (l’alto tradimento era prescritto). I principali imputati finiranno assolti, nei tre gradi di giudizio, per non aver commesso il fatto o perché il fatto addebitato non costituisce reato oppure non sussiste: formula piena.
A pagina 90 della sentenzia di rinvio a giudizio si riporta quasi integralmente un articolo comparso su Lotta Continua il 16 luglio del 1980, articolo basato su una lettera anonima pervenuta in redazione, così si affermò, per posta.
Vale la pena riportare per intero il brano di Lotta Continua.
“Quella sera una attenzione particolare c’era in tutti i CRC, perchè, giù, nel triangolo Napoli-Sardegna-Sicilia, era prevista una esercitazione combinata NATO e tutti i guida caccia erano stati allertati, perché può sempre succedere che un caccia perda la rotta e bisogna riportarlo a casa. Mentre il DC9 dell’Itavia sorvola Roma, la Sala Operativa di Licola è in fermento. In parallelo con il CRC di Marsala i guida caccia di Licola stanno seguendo le ultime fasi dell’esercitazione NATO gli F5 della marina americana si alternano nell’inseguire i nostri F104. Ora sono loro a fare la lepre, mentre i nostri li inseguono sul mare al largo di Ponza. Il guida caccia è bravo, con due sole correzioni di rotta porta l’inseguitore in vista della lepre “Contract” – “Indy” – “Fire”, poi l’inseguitore si sgancia scivolando d’ala per invertire le parti e dare modo al guida caccia di “mischiare le carte” per il prossimo giro. Vince chi aggancia prima e con meno istruzioni il bersaglio; a 25.000 piedi si gioca così, sul filo del 1300 orari. Sono le 20.37 e l’ultima coppia di F104 é rientrata a Grazzanise. Ora tocca agli F5 rientrare. Gli americani ci masticano nel microfono che spesso il loro “Roger” é solo formale. La rotta é giusta, ma uno sta fuori di quota. In quel punto bisogna attraversare l’Ambra 13 e quello sta troppo in alto; il guida caccia lo chiama insistentemente anche perché ora lo ha perso sullo schermo e con la coda dell’occhio vede una traccia più grossa in rotta di collisione col caccia, ma è sul direzionale. Il guida caccia seguita a chiamare l’F5; il radar di quota non gli dice niente di buono, anche se il DC9 viaggia un po’ più alto del caccia. Ma lui non ha sentito l’ultima conversazione del comandante del DC9 con Roma Controllo, lui è su un’altra frequenza che chiama il caccia e il caccia, magari, parla col controllo di Marsala su una frequenza ancora diversa. Sono attimi, frazioni di secondo; e poi sullo schermo non c’è più la traccia del DC9, anche quella del caccia è sparita sullo schermo di Marsala”.
Diavolo, che razza di racconto. Traduciamolo in un linguaggio più accessibile: al termine di un’esercitazione della NATO, cui partecipano aerei militari italiani, un caccia F5 della marina americana, cioè imbarcato su portaerei, non trova la rotta per casa (una portaerei), vola troppo alto, il pilota è distratto perché parla su un’altra frequenza con Marsala invece di essere sulla frequenza di Licola, “guida” caccia, attraversa la aerovia Ambra 13 (quella sulla quale vola l’aereo Itavia)…e “sono attimi, frazioni di secondo e poi sullo schermo non c’è più traccia del DC9, anche quella del caccia è sparita sullo schermo di Marsala”.
Ci fu dunque una collisione in volo fra un caccia F5 della marina, americano, ed il DC9. I due aerei precipitarono (scomparendo dalla traccia radar). Tutte le indagini successive hanno dimostrato che non fu una collisione la causa del disastro. Su ciò non si hanno dubbi: il DC9 Itavia è stato recuperato per oltre il 90%: nessuna traccia di scontro con un altro aereo.
Ma in questa e nella seguente pagina, ci sono due paragrafi, redatti dal giudice istruttore, di interesse.
Il primo: “L’anonimo, pubblicato su un quotidiano d’opinione che sicuramente per la sua connotazione politica, doveva essere di interesse sia per le forze di polizia che degli apparati di intelligence preposti alla sicurezza del paese, non risulta averne attirato l’attenzione.”
Il secondo: “E’ abbastanza chiaro che l’anonimo a Lotta Continua non può essere stato scritto che da un “addetto ai lavori”. Suggestiva la pista indicata, anche se le autorità sia politiche che militari hanno sempre negato lo svolgimento nella giornata del 27 giugno 80 di esercitazioni militari. Da notare che già a poche settimane dalla sciagura c’è chi si chiede per quale motivo le autorità militari avessero fatto presente d’iniziativa che in quella giornata del 27 giugno non vi erano state esercitazioni. Punto, questo, di non secondaria importanza nell’inchiesta e sul quale si ritornerà ampiamente più innanzi.”
Siamo, a detta della sentenza, al cospetto di una “pista suggestiva”, che però i servizi, colpevolmente, non imboccarono. Inoltre, è fortemente “sospetta, perché non sollecitata”, la smentita delle autorità sulle esercitazioni citate nell’articolo. In assenza di smentite, però, tutti sarebbero autorizzati a concludere che sì, le esercitazioni ci furono, e che la collisione può esserci stata. Dunque?
Proseguiamo. L’anonimo di Lotta Continua “non può non essere”, si scrive, un esperto di cose aeronautiche, anzi, deve trattarsi di un “addetto ai lavori” (pare di capire che deve trattarsi di un militare dell’Aeronautica Militare – un controllore di volo? – all’epoca responsabile del Controllo del Traffico Aereo civile e militare).
Proviamo a vedere quanto “esperto” sia questo Anonimo, analizzando il suo racconto in dettaglio.
“Gli F5 della marina americana…”. L’F5 è un caccia leggero della Northrop di cui mai è stata prodotta una versione imbarcata. La US Navy ne acquistò un certo numero a scopo di addestramento e li dislocò nella base aerea di Key West, dove, per quanto ne so, continuano ancora oggi a volare. In Europa fu comprato dalla Svizzera (110 esemplari, 1975). Che la US Navy se li sia fatti prestare? Non si dimentichi, inoltre, che l’F5 ha una velocità massima di 1,3 M, mentre l’F104 di oltre 2,2. Non è un po’ strana come esercitazione di “inseguimento”? E’ un po’ come mettere a confronto sui 100 metri Bolt ed il ragioner Rossi impiegato del catasto quarantenne.
“… a 25000 piedi si gioca così, sul filo dei 1300 orari”. A 1300 Km/h orari si è oltre la barriera del suono. Caccia impegnati in finti duelli aerei, nell’intorno della barriera del suono, avrebbero provocato moltissimi bangs sonici (udibili a decine di chilometri di distanza) nell’attraversarla. Ciò in un tratto di mare frequentatissimo da navi, compresi innumerevoli traghetti (siamo in estate piena), senza che mai si trovasse, né per la verità si cercasse, alcuna testimonianza del fatto. Possibile?
Inoltre, vista la presenza di aerei italiani, e visto che la FIR interessata è sotto responsabilità del Controllo del Traffico Aereo Italiano, il tratto di mare in questione si sarebbe dovuto interdire alla navigazione aerea, e forse anche marittima. Per fare ciò si sarebbero dovuti emettere dei NOTAMs per il traffico aereo e dei bollettini per il traffico marittimo, di cui mai però è stata trovata traccia. A fortiori se, come si sostiene, le manovre avvenivano non a basse quote, com’è d’uso, ma a quote di voli civili commerciali.
“Sono le 20.37 e l’ultima coppia di F104 é rientrata a Grazzanise.” La distanza di Grazzanise dall’ultima posizione del DC9, registrata dal radar secondario di Roma, è di 180 Km. Volando intorno a 700- 800 Km/h, velocità normale di trasferimento di un F 104, il tempo di rientro è intorno ai 15’. Se, come si afferma, la coppia di 104 “è rientrata” a Grazzanise alle 20.37, ciò significa che lo “sganciamento” dalla finta caccia è finito intorno alle 20.22, e di conseguenza è finita l’esercitazione medesima. Trentasette minuti prima della catastrofe.
“Ora tocca agli F5 rientrare… ma uno sta fuori di quota…ecc” La supposta collisione avviene alle 20 59′ 45”, ora in cui il volo Itavia precipita. Dato ricavato dal FDR (flight data recorder, la cosiddetta scatola nera). Quindi questo lungo paragrafo sostiene che per 37 minuti un caccia americano imbarcato (di cui però mai esistette una versione imbarcata), impegnato in una esercitazione già finita da oltre mezz’ora, vaga sui cieli del Tirreno, a quote pericolose per il traffico civile, senza che sia possibile ristabilire il contatto con il medesimo e senza che altri caccia si alzino per “andarlo a prendere e riportarlo a casa”. Perché ciò accade? Ma perché il caccia è impegnato a parlare con Marsala, su una frequenza radio diversa (ma nota al CTA, dunque selezionabile con un semplice movimento di manopola sulla radio) da quella del suo controllore. Che si saranno mai detti il pilota ed il controllore di Marsala in 37 minuti di conversazione? Il nostro anonimo è un “addetto ai lavori”, non ignora che le comunicazioni aeronautiche via radio sono ridotte all’osso (masticare il roger) proprio perché avvengono su una sola frequenza, che viene usata per tutti gli aerei dei quali il CTA è responsabile. Ma sostiene che per 37 minuti nessuno è riuscito a parlare col pilota americano perduto perché… tutti si sono persi fra le frequenze e nessuno è riuscito a trovare quella giusta per comunicare. Persi fra le frequenze? Le frequenze, che il nostro esperto cita, sono tre in tutto: Roma Fiumicino, Licola e Marsala.
Ecco, tanto basta per qualificare la competenza dello “addetto ai lavori”.
E’ ovvio che, avendo dimostrato al di là di ogni dubbio che non ci fu collisione, si sarebbe dovuto dimenticare questo articolo. E non inserirlo nella requisitoria di rinvio a giudizio per un atto di strage.
Niente affatto: nonostante le innumerevoli incongruenze, sopravvisse non nel suo contenuto originale (collisione aerea fra un pilota americano e il DC9) ma sotto le dicerie sulle presunte “manovre NATO”. Ancor oggi, qualche vacuo credulone si aggrappa alla leggenda, credendosi depositario della “verità”.
E altre leggende, non meno inverosimili, si aggiunsero. Il MIG libico caduto sulla Sila, la battaglia aerea fra 30 e più aerei, ecc.
Si sa, le leggende metropolitane, se non soffocate in fasce, si alimentano di vita propria e dell’amorevole sostegno degli amanti del “cosa c’è dietro”, il cui bisogno di panzane è quotidianamente alimentato da giornalisti tanto colpevolmente disinformati ed ideologizzati, quanto bravi nell’aumentare le tirature dei propri giornali scrivendo stupidaggini colossali.
E gli 81 esseri umani periti nella tragedia? Dimenticati, purtroppo.
Sono strumentali alle contrapposte fazioni: uccisi due volte. Povere vittime, private da sempre di Giustizia. E povero paese, incapace di fare Giustizia, ma capace di dimenticare la pietà in favore della militanza politica.
segue…
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