di Pier Vittorio Gard
Vediamo un’altra causa di giudizio errato, il “post hoc, ergo propter hoc”, cioè: dopo questo, quindi a causa di questo. Vediamone un esempio. “Soffrivo di questo disturbo, sono andato dallo streg… pardon dal medico omeopatico e dopo una settimana stavo già meglio”.
Nel Medio Evo si credeva alla superstizione che voleva che il passaggio di una cometa fosse portatore di sciagure, come guerre, pestilenze, morte di personaggi amati dal popolo etc. quindi si correlavano episodi diversi in un rapporto di causa ed effetto. Il passaggio della cometa (post hoc) era sufficiente per essere la causa (propter hoc) delle sventure.
Oggigiorno la maggior parte dei Credenti omeopatici reagirebbe con sdegno (almeno spero) all’insinuazione che essi possano credere a superstizioni medioevali. Ma è stupefacente constatare come i medesimi Credenti applichino con disinvoltura il post hoc all’uso di prodotti omeopatici senza rendersi conto che, così facendo, prestano fede a idee altrettanto fantasiose e ridicole!
Per esempio una diluizione omeopatica di “potenza” 30C corrisponde a una goccia versata in una quantità di acqua pari a quella di tutti gli oceani della terra! Alla dose omeopatica di “potenza” 200C, calcoli matematici mostrano che la massa totale delle pillole da ingoiare, per incontrare una sola molecola del farmaco, dovrebbe essere pari a miliardi di volte la massa della terra!
L’interpretazione secondo il “post hoc” è il più delle volte, esclusivamente individuale. “Da due anni mi curo l’influenza con la medicina omeopatica e l’influenza mi dura di meno, senza complicanze”.
In medicina questo viene chiamato “anecdotal evidence” (evidenza aneddotica).
Il soggetto può certamente aver sperimentato dei benefici, ma altri fattori, non presi in considerazione possono aver determinato il risultato, non necessariamente quelli attribuibili all’omeopatia. Aveva, in recente passato, intrapreso una cura con medicina tradizionale, poi abbandonata per seguire la “cura” omeopatica? Ha cambiato dieta, magari su consiglio dell’omeopata? etc. Si può, caso per caso, stilare una lista di possibili fattori che possono aver influenzato il risultato.
A parte l’evidente valutazione soggettiva, per poter esprimere un giudizio sicuro sull’efficacia della cura, occorrerebbe tornare indietro nel tempo e rifare la stessa influenza senza la “cura” omeopatica!
La scienza non considera rappresentativa la “anecdotal evidence”, perché non è possibile conoscere e isolare tutti i fattori che possono avere influenzato il risultato. Per valutare l’efficacia di un farmaco, occorre isolarne il più possibile gli effetti, liberandoli da ogni valutazione soggettiva e da altri fattori che possano interferire con i risultati.
A tale scopo, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, la scienza di tutto il mondo ha accettato lo strumento rappresentato dallo studio epidemiologico randomizzato, con gruppo di controllo e in cieco.
Lo studio è randomizzato (casuale) perché un certo numero di volontari scelti a caso, viene diviso in due gruppi con una scelta casuale. La scelta casuale dei volontari fa sì che essi siano il più possibile rappresentativi della popolazione da studiare, mentre l’assegnazione casuale dei partecipanti ai due gruppi fa sì che eventuali fattori anomali vengano distribuiti uniformemente nei due gruppi. Ovviamente, gli effetti positivi statistici migliorano con il numero dei partecipanti.
A un gruppo viene somministrato il farmaco in studio, all’altro gruppo (nel caso di studio sull’omeopatia) viene somministrato un placebo. Il secondo gruppo è chiamato “gruppo di controllo”. Lo studio è in “cieco” perché né i volontari né i ricercatori conoscono chi assume il farmaco e chi assume il placebo (doppio cieco). Al termine della sperimentazione si analizzano i risultati e, anche in questo caso, lo sperimentatore non conosce se il soggetto analizzato ha assunto il farmaco o il placebo ( triplo cieco).
In precedenza (http://www.mariogiardini.com/archives/5737241) abbiamo visto che non esiste attualmente al mondo un solo studio di questo tipo che confermi uno specifico effetto terapeutico della omeopatia per le patologie per le quali è stata sperimentata. L’omeopatia ha sempre dato i medesimi risultati di un placebo.
Allora, tutto finito? Ha ragione la prestigiosa rivista The Lancet che, sulla base di questi risultati intitola “The end of homeopathy” il suo articolo su questa credenza?
Neanche per sogno. Elevando al rango di Credente chi fa regolarmente uso di prodotti omeopatici, nel 2011 in Italia, secondo i dati di Omeoimprese, 1,5 milioni di persone hanno acquistato almeno una confezione alla settimana di prodotti omeopatici. Nel 2014 il fatturato globale in Italia si aggira intorno ai 330 mil. di euro.
Con quali profitti? Come abbiamo visto, l’omeopatia è la medesima da 200 anni, quindi le spese di ricerca sono praticamente nulle. Il giornalista scientifico D.Bressanini ha calcolato che l’acquisto di un certo prodotto omeopatico (S.Garattini:Acqua fresca?Sironi edit., pag38) sulla cui etichetta è riportato che 1 gr. di “medicinale” contiene 1gr. di zucchero, corrisponde a pagare lo zucchero a 2150 Euro/Kg.
E ora, entrino in scena i furbetti!
Sentiamo prima Steno Ferluga, astrofisico, presidente emerito del CICAP:
“la presenza delle pseudo medicine (soprattutto l’omeopatia, n.d.r.) è in aumento e sempre più spesso si trovano addirittura offerte anche nell’ambito del servizio sanitario nazionale. In ambito medico, le medicine alternative ora si dichiarano complementari, non pretendono più di rappresentare un modello diverso, ma semplicemente di essere offerte insieme alle terapie che hanno una base scientifica. Così facendo, sono più forti di prima: inquinano l’ambiente medico con una pseudo-medicina, che non ha la pretesa di essere scientifica, ma che ha un’importanza economica rilevante”.
In altre parole, ecco il colpo di genio, degno di un Nobel per la faccia tosta! Nessuno riesce a dimostrare che l’omeopatia fa bene, ma certo non fa male (dato che è acqua o zucchero), quindi, in attesa che la scienza, abbandoni i suoi….. pregiudizi e si decida un giorno a convincersi che l’omeopatia faccia bene, perché non cominciare col prescriverla come complemento (da cui medicina “complementare”) ai farmaci convenzionali e farla passare dal SSN?
La pretesa delle pseudo medicine, in particolare della omeopatia, di essere fornite dal Servizio Sanitario Nazionale è una pentola inquietante che non mi sento per ora di aprire.
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