Nessuna rivoluzione tecnologica è immune da effetti distruttivi. Intanto, modifica la cultura del tempo in modo radicale. Il mondo non è più lo stesso da quando il motore a scoppio ha permesso la motorizzazione di massa. Né è più lo stesso dopo la comparsa dello smart phone.
L’effetto distruttivo si manifesta anche in economia: in pochi anni, scompaiono milioni e milioni di posti di lavoro. Questo fatto ha, a sua volta, un immediato impatto sulle relazioni sociali e, più in generale, sulla società stessa. Il perché è semplice: c’è chi perde un lavoro che non è più utilizzabile come mezzo per guadagnarsi da vivere. E c’è chi, invece, trova nuove opportunità di impiego, e, quasi sempre, migliori condizioni di lavoro, e maggiori salari.
Il problema sociale sta nel fatto che, normalmente, chi ha perso il lavoro trova difficile, molto spesso impossibile, sfruttare le opportunità che la nuova rivoluzione tecnologica offre. Purtroppo, quest’uomo è l’uomo del passato che scompare insieme al vecchio mondo. Ed è un uomo che, per cultura, età, inclinazioni, forza d’animo, non è, in troppi casi, all’altezza del nuovo che avanza. E’ ciò che accadde ai 5 milioni e passa di americani che a cavallo fra ottocento e primi 20-30 anni del novecento si occupavano… di cavalli e altre bestie da tiro, cioè di trasporti dove la forza traente era di tipo animale.
E’ assai probabile che le rivoluzioni tecnologiche del passato siano state, complessivamente, un bene, almeno dal punto di vista economico. Ma questo fatto non ci autorizza ad affermare che lo saranno anche in futuro.
Ecco dunque le domande: la rivoluzione che porta con sé l’Intelligenza Artificiale sarà stata (quando compiuta) un bene? E cosa si può fare per assicurarsi che in effetti i benefici, comparati con i costi (anche sociali, ammesso si possano misurare), siano prevalenti?
Intanto: cos’è l’Intelligenza Artificiale? Non c’è una definizione accettata da tutti. E certo non è quella implicita nei films di Hollywood, dove macchine iper-intelligenti sono in grado di rendere schiava l’umanità.
Il Prof. Nilsson ne ha fornita una che, per gli scopi di questo articolo, è sufficiente. L’AI è “quell’attività tesa a produrre macchine intelligenti, e l’intelligenza è quella qualità che permette ad una entità di funzionare “appropriatamente” e di possedere capacità di “previsione” nel suo ambiente”.
Questa è una definizione conservativa. Restringe l’intelligenza ad attività legate ad un qualche ambiente e solo a quelle. E la considera raggiunta se le attività delle macchine sono appropriate, cioè rispondono alla finalità per le quali le si costruisce. Affinché questo criterio di “appropriatezza” sia adempiuto, bisogna che le macchine agiscano nel modo atteso. Ciò non può prescindere dal fatto che la macchina abbia cognizione dell’ambiente, mutevole, nel quale opera. E ciò implica una capacità di “prevedere” come l’ambiente muta.
Facciamo un esempio di cui si parla molto: le automobili a guida automatica. E’ ovvio che devono prevedere come “l’ambiente” varia, cioè come varia, ad esempio, il comportamento delle altre automobili. Se un’altra automobile fa una manovra che porterebbe a una collisione, è ovvio che giudichiamo “appropriato” il comportamento se la collisione viene, in qualche modo, evitata.
Ciò detto e senza scomodare Turing, possiamo senz’altro affermare che l’AI dei nostri giorni NON è l’AI degli anni 60/70, dove si perseguiva l’obbiettivo di costruire macchine intelligenti quanto l’uomo in ogni sua attività. Sia quelle ripetitive, sia quelle “creative”.
L’AI dei nostri giorni è di tipo “verticale”, o, se preferite, “mono-scopo”. Che vuol dire? Vuol dire che di tutte le attività umane, io ne isolo una, ed una sola. Ad esempio, guidare una macchina nel traffico. E cerco di costruire una “intelligenza” nella macchina superiore a quella dell’uomo … in quello specifico segmento di attività.
Una volta “addestrate”, però, a queste macchine non possono essere aggiunte facoltà tipicamente umane, quali il buon senso. L’auto-coscienza. I desideri. Non si può insegnare loro ad amare. O a dominare un essere umano. Non le si può, cioè, fornire di emozioni.
Vero: una macchina batte ormai qualsiasi essere umano a scacchi. Ma è davvero intelligenza, quella che si manifesta nel gioco degli scacchi? Si è davvero sicuri che fare estremamente bene una cosa, per quanto complessa sia, sia segno di intelligenza? Oppure l’intelligenza è altra cosa?
E’ certamente altra cosa.
Come afferma Kai-Fu Lee, fondatore della Sinovation Ventures, l’azienda cinese numero uno in tecnologia:
“Oggi, l’AI è capace di fare un compito alla volta, è, cioè, un fantastico utensile. E’ fantastico nel creare valore (economico ndr). Sicuramente sostituirà l’uomo in molti compiti di lavoro. E in qualche lavoro. Questo è ciò che dovremmo dire sull’AI. Ma non esiste quella grande, forte AI, dove la macchina agisce come un uomo e può ragionare in domini diversi (ad es politica, economia, letteratura, calcio ndr) e avere buon senso. Ciò non è prevedibile affatto partendo dallo stato attuale dell’AI”.
Notare la differenza fra compiti di lavoro (job task in inglese) e lavoro (job). Il lavoro è fatto di molte altre cose, anche, se alla fine, si riducesse a pochi o perfino un solo job task.
Torniamo al punto fondamentale: la macchina che agisce come un uomo. Potrà accadere prima o poi? Chi lo sa? Forse. Certo quel che bisogna fare è concentrarsi su ciò che avverrà nel prossimo futuro.
Da un lato vediamo avanzare continuamente l’AI nella capacità di eseguire sempre nuovi compiti ripetitivi, gravosi per l’uomo, ed eseguirli meglio di quanto facciano gli uomini.
Ciò lascia intravedere un futuro nel quale l’umanità sarà libera da questo tipo di lavoro che però, in molti casi, è l’unico lavoro che permette di “campare” a decine o centinaia di milioni di individui. In ogni caso, in fondo a questo lungo cammino si intravede un obiettivo grandioso: liberare l’umanità dalla fatica del lavoro e/o dai lavori alienanti.
Da un altro lato, bisogna rendersi conto che i progressi nelle tecniche AI elimineranno anche una quantità di lavori più complessi. Per citarne alcuni che paiono molto specializzati (e lo sono, tanto da richiedere lauree e masters per poterli eseguire): scegliere le azioni da comprare in borsa, concedere prestiti se sei un credit manager bancario, occuparsi di brokeraggio, o di lavoro para-legale, ecc.
Entrambe queste situazioni dischiudono la prospettiva, per ciascuno di noi, di avere più tempo per fare ciò che realmente ci piace fare o ciò che facciamo meglio.
Non ci sono opportunità prive di rischi. E non ci sono rischi cui non possa corrispondere un’opportunità. In passato, nonostante infiniti errori, l’umanità è stata capace di dominare il rischio e approfittare delle opportunità. Altrimenti, non saremmo ancora qui a occuparci di questi problemi. Ma questa volta potrebbe essere diverso. Perché?
Perché il potenziale associato all’AI è gigantesco, e niente di paragonabile è esistito nel passato. Altrettanto giganteschi sono i rischi, legati ad eventuali abusi che possono perpetrarsi con un uso distorto dell’AI. Si pensi per esempio alle eventuali applicazioni militari. Oppure alle applicazioni in campo medico.
Giganteschi anche i problemi etici e legali legati all’AI. Ad oggi, salvo sparsi e incompleti tentativi, non è stata redatta ed approvata alcuna legge, in nessun paese, che definisca le rispettive responsabilità nel caso, ad esempio, che un’automobile a guida automatica uccida un essere umano.
Non sono chiari neppure i criteri etici con i quali si debbano progettare macchine che potranno trovarsi a dover scegliere chi o cosa danneggiare in determinate situazioni. Immaginiamo il caso di un aereo a guida automatica che, a causa di un guasto irreparabile, debba scegliere il punto di impatto col suolo in un’area densamente popolata. Quali sono i criteri di progetto? Salvare il massimo di vite umane? E, anche ammesso lo si possa sapere, a parità di vite, si sceglierà un punto al centro della città o in periferia?
Sono giganteschi i problemi politici e sociali associati all’AI. E’ facile prevedere che non tutti i paesi del mondo possiederanno le tecnologie ed le risorse economiche per mantenersi al passo con gli sviluppi futuri dell’AI.
Ciò significa che i paesi poveri diventeranno più poveri? Non è detto, anche se è altamente probabile. Certamente diventeranno più deboli. Perché all’AI è associato anche il potere della conoscenza.
Ed anche se l’umanità diventasse così saggia da distribuire equamente la ricchezza economica generabile con l’AI, resterebbero comunque le disuguaglianze di potere politico, militare e culturale. A meno, si capisce, di portare a termine un gigantesco lavoro che tenga conto di queste differenze e le elimini.
Nei prossimi articoli ci occuperemo di otto settori dove l’AI ha compiuto e compirà, nei prossimi anni, progressi spettacolari: i trasporti, i robots destinati ad essere usati in casa o per servizi specifici, le applicazioni mediche, l’educazione, l’assistenza alle comunità povere, la sicurezza pubblica, il lavoro ed il posto dove si lavora, l’intrattenimento.
Ciascuna di queste applicazioni dell’AI cambierà non solo le nostre vite, ma anche l’ambiente nel quale vivremo. Vedremo le sfide tecnologiche che sono ancora di vincere. I rischi. E le opportunità.
continua
Commenti