di Mario Giardini
Nel 2005, nei paesi OCSE/G20, solo il 14% dei giovani fra i 25 ed i 34 anni in media possedeva un titolo di studio “terziario”, cioè (grosso modo) corrispondente alla nostra laurea triennale. In valore assoluto, si trattava di 94 milioni di persone. Concentrate soprattutto negli USA (14% del totale), seguiti da Cina, Russia, Giappone ed India con circa il 10% ciascuno.
Nove anni dopo, nel 2013, i 94 milioni di lauree erano diventate 137 milioni. Gli USA, pur mantenendo un 14% del totale, avevano perso il primato, sorpassati dalla Cina (17%). L’India era salita al 14% del totale, la Russia si era mantenuta stabile al 10%, il Giappone era sceso al 6%. In meno di dieci anni c’è stato un aumento di laureati di oltre il 45%.
Ma mentre nel 2005 il 60% dei laureati appartenevano a paesi membri dell’OCSE, nel 2013 il gap era colmato. Quale evoluzione si prevede?
Fra quindici anni, cioè nel 2030, una stima prudente fa ascendere a 300 milioni il numero di laureati totali nella fascia di età considerata.
Il 70% apparterrà a paesi del G20 che non fanno parte dell’OCSE, cioè Cina, India, Indonesia, Russia, Arabia Saudita e Sud Africa. EU ed USA conteranno per meno del 25% complessivamente. La Cina da sola avrà il 27%, l’India il 23%. Brasile e Indonesia saranno al 5%, la Russia al 4, il Giappone al 3.
E’ del tutto evidente che il numero di laureati è, di per sé, solo un indicatore. Contano, evidentemente, sia le discipline che la preparazione dei laureati.
C’è, tuttavia, un divario crescente fra USA/UE e Cina/india. In Europa ed USA, i laureati STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) sono tre volte di meno rispetto a quelli laureati in Scienze Umanistiche e Sociali, Legge e Scienze dell’Educazione. Ma già nel 2012 la Cina aveva un 40% di laureati STEM e l’India oltre il 35%. La sola eccezione europea è la Germania, ma largamente distanziata, con una quota STEM pari a circa il 28% del totale.
La previsione di medio termine è infausta: il 60% dei laureati STEM nel 2030 sarà cinese o indiano. L’UE scenderà intorno all’8% del totale, gli USA al 4. Non si annuncia un buon futuro.
L’Italia non è messa bene con i numeri: i nostri laureati sono appena l’1%. E non è messa bene neanche con la qualità.
Nel rapporto OCSE cui rimandiamo sopra si può leggere che “in media, giapponesi e olandesi con un titolo di studio secondario hanno prestazioni migliori dei pari età laureati italiani o spagnoli” (“Even more striking was that, on average, Japanese and Dutch 25‑34 year‑olds who have only completed high school easily outperformed Italian or Spanish university graduates of the same age.”)
E’ del tutto ovvio che la domanda proveniente dal mondo del lavoro per capacità professionali che richiedono educazione avanzata di alta qualità non potrà che aumentare. Per far fronte alla sfida, l’Europa ha lanciato due programmi.
“Scienza con e per la Società” ha lo scopo dichiarato di migliorare l’eccellenza scientifica accoppiandola a consapevolezza e responsabilità sociale. Si vuole rendere più attraenti le discipline scientifiche e attirare un maggior numero di giovani.
L’altro è altrettanto ambizioso: raggiungere, entro il 2020, nella fascia di età fra i 30 ed i 34 anni, il 40% di laureati.
Un primo check è stato fatto nel 2012, con risultati, per l’Italia, che definire umilianti è poco.
Pur avendo fissato un traguardo intermedio modesto (26-27%) ci siamo fermati al 20,7%.
In quale posizione? Ultimi. Quasi appaiati con Romania, penultima, e, terz’ultima, Malta.
Dodici paesi avevano raggiunto e superato, con otto anni di anticipo, il traguardo posto per il 2020. I primi otto sono: Irlanda (51%), Cipro e Lussemburgo (50%), e poi a seguire Lituania, Svezia, UK, Finlandia, Germania.
L’Irlanda di suo ha fissato il traguardo, per il 2020, al 60%.
Se questo è lo sfondo, davvero si pensa di poter migliorare la qualità dell’insegnamento, e dell’apprendimento, con una mancia di 500 euro per promuovere l’auto-aggiornamento professionale del corpo insegnante?
Fossi un insegnante, la rifiuterei.
Mario Giardini
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