Nell’articolo IV abbiamo discusso il concetto fondante della filosofia buddista della visione del mondo: l’interdipendenza di tutti i fenomeni. In questo articolo discuteremo come il concetto buddista di interdipendenza è in armonia con gli aspetti fondamentali della meccanica quantistica e della teoria della relatività. Accenneremo anche alle conseguenze dell’interdipendenza sulla nascita e il destino dell’universo.
a. Meccanica Quantistica.
La meccanica quantistica, la teoria che spiega il comportamento di atomi, molecole e tutti gli oggetti a livello microscopico, suggerisce un livello di interazione tra gli elementi della realtà molto più profondo e complesso di quanto non ci sia possibile immaginare sulla base dell’intuizione e dell’esperienza quotidiana.
Secondo la meccanica quantistica, infatti, esistono due forme di interdipendenza che nella fisica classica erano completamente sconosciute e cioè: l’interdipendenza fra osservatore e oggetto osservato e l’interdipendenza fra le particelle.
- Interdipendenza fra osservatore e oggetto osservato: dualismo onda-particella.
Una delle caratteristiche principali e completamente contro intuitiva della meccanica quantistica è rappresentato dal dualismo onda/particella.
Secondo questo concetto, le particelle descritte dalla teoria dei quanti hanno una duplice natura, corpuscolare e ondulatoria allo stesso tempo, come discusso nell’esperimento qui di seguito descritto, che è probabilmente il più famoso ed enigmatico esperimento di fisica.
In questo esperimento, inviamo un fascio di luce monocromatica su uno schermo nel quale sono praticate due finestre uguali. La luce, dopo essere passata attraverso le due finestre andrà a finire su una parete, posta dietro allo schermo. Su questa parete osserveremo una figura di interferenza, composta di strisce alternate, strisce luminose e strisce oscure. La figura di interferenza è chiaramente dovuta alla natura ondulatoria della luce, che passa attraverso le due finestre.
Fin qui, niente di straordinario, ma proviamo a inviare un solo fotone alla volta. Il fotone passerà attraverso una fessura o l’altra, dice il buon senso e chissà su quali punti della parete andrà a finire. Invece no, il fotone andrà a finire proprio dove si producono le strisce luminose della figura di interferenza! Inviamo allora altri fotoni, uno alla volta, e collochiamo una pellicola fotografica sullo schermo: i fotoni, sempre uno alla volta, andranno tutti a impressionare la pellicola in corrispondenza delle strisce luminose ottenute proprio quando si invia un fascio di luce!
Tutto avviene come se ogni fotone si comportasse come un’onda e passasse contemporaneamente attraverso le due fessure!
Ma se mettiamo un rivelatore di fotoni lungo il tragitto, cattureremo un fotone, dove, abbiamo visto, ci dovrebbe essere un’onda.
L’esperimento ci dice allora che le particelle, lasciate libere di propagarsi, si comportano come onde che attraversano contemporaneamente le due fessure. Ma le particelle cessano di comportarsi come onde e si comportano come particelle, non appena l’osservatore interagisce con uno strumento per cercare di conoscere quale traiettoria ha seguito la particella.
Il solo atto di osservare con uno strumento il comportamento di una particella ne modifica inevitabilmente le proprietà.
Questo doppia realtà con cui le particelle si manifestano è nota come il dualismo onda particella.
Straordinario e inquietante è il fatto che il medesimo risultato si ottiene anche inviando particelle dotate di massa, come gli elettroni o addirittura molecole di fullerene, composte da 60 atomi di carbonio.
Il dualismo onda-particella stabilisce quindi l’esistenza di una totale interdipendenza fra l’osservatore e l’oggetto osservato.
- Interdipendenza fra particelle.
In fisica quantistica non esiste solamente la interdipendenza fra osservatore e osservato. Esiste anche una interdipendenza fra particelle, come dimostra il famoso esperimento “entanglement”, nato come esperimento mentale proposto nel 1930 da Albert Einstein e i suoi colleghi Boris Podolsky and Nathan Rosen (noto anche come esperimento EPR, dalle iniziali dei tre scienziati).
Immaginate che una particella si disintegri spontaneamente in due fotoni A e B, in modo che, per ragioni di simmetria, queste due particelle si propaghino in direzioni opposte. Se A andrà verso ovest, B andrà verso est. Se controlliamo con i nostri strumenti, troviamo che A va veramente verso ovest e B verso est, esattamente come previsto, qualunque sia la distanza fra le particelle.
Ma questo non tiene in considerazione l’indeterminatezza del mondo subatomico. La meccanica quantistica, infatti, ci dice che A, prima di essere intercettato dallo strumento di misura non può possedere una direzione precisa, dato che si propaga come un’onda e un’onda si può propagare in ogni direzione!
Solamente dopo aver interagito con lo strumento, A ritorna una particella e “apprende” che sta viaggiando verso ovest. Ma se A non sapeva in quale direzione andare prima di essere catturato dallo strumento di misura, come poteva B “indovinare” in anticipo la direzione di A, e, di conseguenza regolare la sua traiettoria così da disporsi istantaneamente nella direzione opposta?
Einstein e i suoi collaboratori avevano ideato questo esperimento mentale per dimostrare una supposta incompletezza della fisica quantistica.
Il fenomeno EPR è stato invece verificato sperimentalmente e ha dimostrato che effettivamente tutto avviene come se l’informazione sullo stato quantistico di una particella venga comunicato all’altra istantaneamente. Le due particelle “entangled”si comportano come se fossero parte di una unica realtà, anche se sono fisicamente separate da distanze di miliardi di anni luce.
Secondo il fisico Niels Bohr, il padre della fisica quantistica:
“Tra due particelle [correlate] che si allontanano l’una dall’altra nello spazio, esiste una forma di azione-comunicazione permanente. […] Anche se due fotoni si trovassero su due diverse galassie continuerebbero pur sempre a rimanere una unica entità …”
Nel linguaggio della fisica quantistica si dice che le particelle entangled non rispettano il principio di località della fisica classica, secondo cui tra due eventi lontani ci può essere un rapporto di causa-effetto solo se essi sono connessi da una catena causale(di causa ed effetto) di eventi che si propaga con una velocità minore o uguale alla velocità della luce (che rappresenta un limite fisico assoluto per tutti i corpi e tutti i processi).
Ecco quindi che in questo caso la realtà non è più locale, ma globale come inteso dal Buddismo: l’entanglement ci dice che lo stato di una particella quantistica non possiede una sua realtà intrinseca perché dipende dallo stato quantistico dell’intero sistema, che si comporta come un’unica realtà.
b. Relatività.
Aristotele credeva che ogni oggetto, non soggetto a forze o impulsi, tenda a collocarsi in un punto dove esiste la quiete assoluta. Newton ha insegnato che la quiete aristotelica non esiste: un oggetto può dirsi immobile o in movimento solo in rapporto ad altri oggetti.
Nelle “Teoria della Relatività Speciale”(1905) Einstein ha dimostrato che tempo e spazio non possiedono vite separate: tempo e spazio possono essere definiti solo in termini relativi che dipendono dal movimento degli osservatori. Il tempo non fluisce in modo uguale nell’universo, ma è diventato un oggetto elastico, in funzione della velocità dell’osservatore. Più veloci ci muoviamo, più lento passa il tempo rispetto a un osservatore rispetto al quale ci muoviamo.
Per esempio, su un’astronave che si muova, rispetto alla terra, a una velocità pari all’87% della velocità della luce, il tempo fluisce a metà velocità rispetto al tempo sulla terra. Questo rallentamento del tempo è stato osservato negli acceleratori di particelle: il tempo di decadenza delle particelle che vengono accelerate a velocità elevatissime è più lungo rispetto a quando sono accelerate a velocità minori e la differenza è esattamente quella prevista dalla Relatività.
Anche lo spazio possiede una natura elastica, complementare al tempo. Quando il tempo rallenta, lo spazio si contrae. Per un osservatore sulla terra, la nostra astronave che viaggia alla velocità pari all’87% della velocità della luce, non solo ha un tempo che viaggia a metà velocità, ma anche la dimensione dell’astronave si riduce alla metà.
Per un osservatore che si muovesse alla velocità della luce(proibita dalla relatività), l’universo avrebbe la dimensione di un punto.
La “Teoria Generale della Relatività” dimostra che il tempo viene rallentato in funzione della intensità di campi gravitazionali. La gravità della terra rallenta il tempo, per cui il tempo al livello del mare scorre più lentamente che in montagna o su un satellite.
In vicinanza di un buco nero, dove la gravità è elevatissima, un secondo può estendersi per secoli o millenni.
Anche l’idea di un passato già trascorso e di un futuro che deve ancora arrivare è una mera illusione, dato che il mio futuro può essere il passato di un altro e il presente di un terzo osservatore, tutto dipende dai nostri relativi movimenti.
I fenomeni spazio e tempo non possono più essere definiti in termini autonomi, ma debbono essere definiti in termini globali, solo in relazione ad altri fenomeni.
c. Cosmologia
Abbiamo visto che, secondo il concetto buddista di interdipendenza, nulla può avere un inizio o una fine.
Per capire l’esistenza dell’universo occorre allora liberarsi dal concetto di creazione: semplicemente per il Buddhismo l’universo è sempre esistito.
Questo tipo di universo, secondo le attuali conoscenze di cosmologia, è compatibile solamente con la teoria di un universo ciclico, con una serie infinita di Big Bangs e Big Crunches.
Secondo questa teoria, l’universo, sotto l’effetto della attrazione reciproca delle galassie, ridurrebbe gradualmente la sua velocità di espansione, fino ad arrestarsi e quindi, in accordo con la teoria della relatività, concentrarsi in un punto, da cui ripartire con un nuovo Big Bang e così all’infinito.
Questo scenario, tuttavia, non è affatto provato dalle attuali conoscenze cosmologiche, perché l’eventuale arresto dell’espansione dell’universo dipende dalla densità di materia esistente, che in questo caso dovrebbe essere maggiore di un certo valore critico, come previsto dalla relatività. Attualmente, esistono ancora dubbi sulla densità della materia dell’universo, soprattutto la materia oscura.
Questa teoria ha in ogni caso perso molto della sua attendibilità, a partire dal 1998, quando i cosmologi hanno scoperto che l’universo, anziché rallentare la sua velocità di espansione, l’ha accelerata da circa 3-5 miliardi di anni. Per spiegare questo fenomeno, la scienza ha ripreso una vecchia ipotesi di A. Einstein (poi abbandonata), che attribuiva al vuoto una forma sconosciuta di energia, da Einstein chiamata“costante cosmologica”. L’energia del vuoto, oggi chiamata “energia oscura”, secondo la relatività, eserciterebbe una azione espansiva su tutto l’universo.
(per approfondimenti, vedere l’articolo di Mario Giardini su questo blog “Cosmologia-15-Dark Energy: l’energia oscura dello spazio vuoto”).
Se fosse confermata questa teoria, il destino ultimo dell’universo sarebbe il “big freeze”, il grande freddo, e non “il big crunch”, il grande collasso.
Tuttavia, per spiegare l’accelerazione della velocità di espansione sono state formulate anche altre ipotesi attualmente considerate meno attendibili, che sarebbero compatibili con un universo ciclico.
Quindi l’ipotesi di un universo con cicli infiniti di big bangs e big crunches non può attualmente essere scartata.
(per approfondimenti, vedere l’articolo di Mario Giardini su questo blog: “Cosmologia-10-L’universo è ciclico come affermavano gli stoici?)
Interessante notare come l’universo ciclico, oltre che nel pensiero degli stoici greci, sia presente anche negli antichi testi Veda della religione Indù, dove l’universo si espande da un punto(bindu) per poi collassare di nuovo, accompagnato e comandato dalla danza del dio Shiva.
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