Le tragedie accadono, nonostante la tecnologia

di Mario Giardini
Deepwater 1Viviamo in un mondo ogni giorno più isterico e impaurito. Il problema ambientale provocato dalla Deepwater Horizon è stato risolto in un paio di anni. Doveva, a quanto pare, durare per decenni. Invece, no. La causa di risarcimento si trascina ancora e non si sa quando finirà, viste le pretese di chi si è costituito parte lesa (compresa la PA americana, che spera di affossare BP, concorrente del big oil di marca USA). Riflessioni.

Una piattaforma off shore della BP è esplosa, si è incendiata, ed è affondata nei giorni scorsi nel Golfo del Messico, al largo delle coste della Lousiana e della Florida. Undici uomini sono scomparsi e non sono stati ritrovati. Morti, senza ombra di dubbio. Diciassette o più (ho perso il conto) sono stati feriti gravemente. Dagli iniziali 1000 barili al giorno di sversamento di petrolio, si è passati a una stima di 5000. La marea ha trascinato il petrolio verso le coste.

Assisto impotente, e incazzato, al solito crescendo rossiniano dei media. E leggo i commenti dei lettori alle notizie, ancora più incazzato, se fosse possibile. I media nostrani sono campioni mondiali nel raccontarci: a) la “rabbia”; b) l’epocalità dell’evento; c) le ragioni ultime: il capitalismo che rapina e depreda le risorse del pianeta e se ne infischia di tutto e di tutti; d) la tecnologia, qualunque essa sia, è insicura, e chi la progetta, la progetta apposta insicura, oppure preferisce il risparmio alla sicurezza; o è, semplicemente, un imbecille che non sa fare il suo lavoro. Chi la usa, e ne ricava benefici, lo sa, dunque la usa in maniera criminale, per scopi criminali. Sottinteso: vogliamo, perché possibile, un mondo assolutamente sicuro, al riparo da ogni pericolo, anche potenziale. Nessuno deve morire

Nessuna piattaforma off shore dovrebbe incendiarsi. Nessun aereo precipitare. Nessuna nave affondare. Nessun gasdotto scoppiare. La disinformazione propalata dai media fa danni incalcolabili. A volte, è puro e semplice interesse politico o economico, a generarla. Altre volte, le più, pura e semplice ignoranza. Prendete il caso della piattaforma. Andate sulla Stampa. Nello stesso giorno trovate un articolo dove l’allarme per l’onda nera è al massimo livello. Il pericolo è quello di un’altra Exxon Valdez. Terribile, ineluttabile come una maledizione biblica, indeterminato, e perciò più terrificante. Nell’articolo si dimentica che la Exxon incagliò in Alaska. Passi. Ma in un’altra pagina del giornale, trovate un riferimento alla Exxon Valdez, e viene fuori che, prima che la piattaforma affondata nel Golfo riversi in mare la quantità di petrolio fuoriuscita dalla petroliera, passeranno 266 giorni. Il disastro, comunque, per il cronista c’è già.

C’è un modo più truffaldino di fare informazione? Nel momento in cui scrive, in mare ci sono circa 50 000 barili di petrolio. La Exxon ne riversò 10 milioni. Non è che in 226 giorni forse si farà qualcosa nel Golfo del Messico per fermare il tutto? Ecco, è questa mancanza di senso delle proporzioni, di allarmismo interessato, a priori, immotivato, di costruire paure su ciò che il cronista in tutta evidenza ignora, che mi fa incazzare.

La gente continuerà a morire, le tubature a scoppiare, gli aerei a precipitare, le navi ad affondare. Perché ci sono, semplicemente, mestieri pericolosi. E perché la scienza e la tecnologia possono molto, ma non tutto.

Sono stato una volta su una piattaforma di produzione della PEMEX, nel Golfo del Messico. Posso garantire: per progettarla ci vogliono due palle grandi come il Colosseo. Per metterla in opera, idem. Per lavorarci su, ari-idem. Appena scendete dall’elicottero, vi sembra di avere la nausea, la testa vi gira. Il pavimento si muove. Vibra. C’è un rumore sordo, che non è solo il mare: sul fondo dell’oceano è posato l’oleodotto, e le pompe ci pompano dentro il greggio a pressioni di 80-100 o anche più atmosfere.

Tutti, ma proprio tutti, gli ambienti sono a rischio di esplosione. Tutti, ma proprio tutti, gli equipaggiamenti vengono progettati a sicurezza intrinseca. Vuol dire che qualsiasi guasto, di qualunque origine sia, non deve provocare cortocircuiti e scintille tali da innescare un’esplosione, nel caso si siano prodotte fughe di gas o vapori.

Una piattaforma è dunque un’opera grandiosa di ingegneria, complessa, pericolosa.

Il fatto miracoloso è che ne scoppino veramente poche.

Miliardi di cose possono andare storte e provocare una catastrofe. Ma la normalità è propio l’assenza di catastrofe. Dunque l’ingegneria, l’impegno e l’onestà con cui vengono progettate, dovrebbe essere fuori da ogni questione.

Ma se questo ragionamento non basta, allora facciamone un’altro. Per il disastro della Exxon Valdez, a conti fatti, si spesero 4,3 miliardi (cioè 4300 milioni) di dollari. Tutti a carico della Exxon. Qualcuno  può pensare, a fronte di queste cifre, che la sicurezza non sia nel massimo interesse di un’azienda? Per la BP, che ha già dichiarato farà fronte a tutte le spese, si prevedono, per quest’ultima catastrofe, circa 10 miliardi di dollari (alla fine il conto è stato di 18 miliardi, e non è ancora del tutto finita).

Eppure, se la catastrofe accade, allora monta la rabbia. E inizia la disinformazione prodotta in generale da chi dichiara e da chi raccoglie la dichiarazione. Il testimone e il cronista. Vediamo. Il cronista interroga il pescatore che cerca di mettere in salvo i suoi gamberetti. Costui gli dice: “Ci avevano assicurato che non c’erano rischi (chi, non è dato sapere, ndr). Ci hanno mentito”. Poi, lo stesso pescatore parte con la sua barca. Mossa da un motore diesel. Con gasolio che si ottiene dal greggio. Forse quello estratto dalla medesima piattaforma inabissatasi. Nessuno, nè il pescatore, nè, tanto meno, il cronista, si chiedono da dove venga quel gasolio.

E nessuno si chiede cosa mai accadrebbe se si fermassero tutte le attività pericolose dell’uomo, cioè praticamente tutte, poiché il rischio zero è una chimera?

La risposta? Semplice. Possiamo o arrampicarci di nuovo sugli alberi, o tornare nelle caverne. Dipende se fa caldo o freddo, lì fuori. Se non gradiamo questa soluzione, allora bisognerà tornare a vedere il mondo e l’uomo per quello che sono. Il mondo è un ambiente pericoloso, l’uomo un essere fragile e limitato. La combinazione fra queste fue cose, nonostante l’impegno, l’intelligenza, la dedizione, e la capacità di milioni di menti e di cuori eccellenti, continuerà, di tanto in tanto, a rivelarsi inadeguata a fronteggiare i rischi che la natura ci pone.

P.S. Ci fu una inchiesta sul perché la Exxon Valdez finì sugli scogli. Si appurò che: a) il capitano aveva cambiato la rotta usuale per evitare gli iceberg; b) la nuova rotta prevedeva la navigazione vicino alla costa fino ad un certo punto, dopodiché ci si doveva allontanare per evitare degli scogli; c) al cambio turno fra i piloti in plancia, l’informazione del cambio di rotta non fu passata. Meno di un’ora dopo, la nave, in perfetta efficienza, finì sugli scogli.

Mario Giardini

3/5/2010

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