di Mario Giardini
Affinché le tragedie insegnino qualcosa, è necessario che ci siano delle persone disposte ad imparare. Lo so: è una banalità. La transazione per i danni della Deepwater Horizon si è conclusa con un risarcimento di 16 miliardi di dollari, per una prima tranche. Rimangono alcune pendenze con il governo USA, insaziabile nel perseguitare e taglieggiare un concorrente delle big oils americane. En passant, il disastro del secolo, da punto di vista ecologico è stato sanato in meno di due anni. Ma cosa si dice quando capita un disastro? e cosa si disse all’epoca?
Le frasi, sempre le stesse. “Ecco dove ci porta la logica del profitto e della crescita non sostenibile. Attentato, premeditato e riuscito, all’ambiente da parte di criminali irresponsabili”. Eppoi, il solito assortimento di politici che o cercano di pararsi il sedere (come fece Mr Obama e la sua amministrazione) o cercano di farlo, il culo, ad altri politici. “Ditemi quali culi devo prendere a calci e io li prenderò a calci” (Obama).
Infine, i media, che, resi forti e ciarlieri dalla propria profondissima ignoranza, attizzano la cagnara spettacolarizzando ed enfatizzando il tutto, con sommo sprezzo del ridicolo.
Ignoranza. I media USA rimproverarono alla BP di usare troppe e diverse compagnie specializzate nelle varie fasi del processo. Ad esempio, la Transocean, proprietaria della piattaforma di perforazione. O la società che operava i veicoli sottomarini che lavorano a 1500 metri di profondità. Il tutto è riassunto da una frase del New York Times: “Delle 126 persone a bordo della piattaforma al momento dell’esplosione, solo 8 erano dipendenti BP”. Come a dire: la BP se ne fregava dell’andamento dei lavori.
A me sinceramente sfugge come si possa ottenere maggiore sicurezza con minore specializzazione quando si è impegnati in operazioni molto complesse e molto pericolose. Nel mio piccolo (reti di telecomunicazioni mobili, dove i rischi sono, se comparati al settore petrolifero, trascurabili) per riuscire a fare lo start up delle 3 reti GSM della Tim in Brasile (2001-2002) ho avuto bisogno di subappaltare lavori a oltre 800 aziende in tutto il Brasile. E’ chiaro che nasce un ovvio problema di coordinamento (sincronismo delle varie attività). E che bisogna lavorare, e molto, per ridurre le “grey zones”, cioè quelle terre di nessuno (e ce ne sono sempre nei progetti) dove i limiti di responsabilità fra chi opera tendono a confondersi. E bisogna esercitare giorno dopo giorno un assiduo controllo di tutto quanto si fa: questo è, ripeto, normale quotidianità.
Ma non mi risulta che la sicurezza aumenti in ragione proporzionale al dilettantismo, cioè affidando mansioni ad aziende (anche la propria) che non sono in grado di svolgerle.
Fare poi, come fecero molti giornali americani, della dietrologia sul fatto che fra la BP e le ditte subappaltatrici ci fosse un conflitto di interessi, è risibile: questi conflitti ci sono sempre. E’ ovvio che la Transocean, che si beccava, a quanto pare, 500 000 dollari per ogni giorno di affitto, potesse essere tentata di allungare il brodo. Ma non è affatto ovvio il contrario: che la BP le facesse fretta al punto di far saltare in aria la piattaforma. O non si accorgesse che la Transocean stava ciurlando nel manico. Fosse così, ogni giorno assisteremmo ad una tragedia. E non solo nel settore petrolifero. Cosa da escludere a priori visto i costi giganteschi cui si va incontro.
Regolamentazione. I permessi di trivellazione vengono concessi dalla agenzia governativa Minerals Management Service. Si è scoperto che furono concesse molte deroghe alla normativa esistente all’epoca. Corruzione di pubblico ufficiale? No. Semplicemente: le regole non tengono mai il passo con la tecnologia. E questo è veramente un problema serio e generale. Riguarda tutti i paesi.
I politici intendono fare qualcosa? Al momento, provarono, e la transazione dimostra che riuscirono, ad impiccare la BP per far dimenticare le manchevolezze loro. Non pare stiano traendo le lezioni che dovrebbero. Che cosa si può fare per migliorare la regolamentazione, e quindi prevenire (o attenuare le conseguenze di) futuri disastri? E’ troppo chiedere che, per esempio, si scavino pozzi ausiliari insieme a quello principale? O che si predisponga un contingency plan realistico?
Pare che quello approvato all’epoca da tutte le autorità prevedesse come worst case quello di uno sversamento di 250.000 barili al giorno (mi chiedo: quanti barili produce al giorno il pozzo? 250 000 pare una cifra esagerata). Incredibile, ma vero: l’authority non lo rese obbligatorio (!). In cambio, approvò un piano per l’uso di un cappuccio che, in caso di esplosione, avrebbe dovuto contenere lo sversamento.
Ma non pretese che il cappuccio fosse costruito e reso disponibile sulla piattaforma. Risultato: a esplosione avvenuta, ci vollero 20 giorni per costruirlo. Ecco, se oltre a prendere a calci in culo la BP Mr Obama avesse provveduto a migliorare la sua Amministrazione, tutti potremmo incominciare a sperare che stiamo imparando dai nostri errori. Ma dubito assai.
La logica criminale del profitto. Nel golfo del Messico si contano attualmente circa 3500 piattaforme petrolifere. La maggior parte sono di “produzione”, le altre sono “rigs”, cioè impianti di trivellazione che hanno il compito di scavare il pozzo petrolifero. Meno di cinquanta piattaforme operano a profondità superiori ai 300 metri. La Deepwater Horizon, esplosa il 20 aprile 2010, era una piattaforma di perforazione. Stava lavorando in un punto dove il mare è profondo 1500 metri, per scavare un pozzo di circa 5000 metri. In sostanza, il giacimento che si intendeva sfruttare giace a più di 6 km sotto il livello del mare.
E’ chiarissimo a tutti che lavorare a 1500 metri di profondità non solo è più difficile e pericoloso, ma anche estremamente più caro del farlo a 300. Si può anche credere che quelli della BP tengano al profitto più di quanto tengano alla propria madre o sorella. Ma, per la stessa ragione, non si può supporre che siano scemi. Quindi se si sono imbarcati nell’avventura di perforare un pozzo così profondo, costoso, e pericoloso, una ragione valida ci sarà. E la ragione chiamasi mercato.
Che è fatto non da loschi figuri profittatori e criminali, ma dalla massaia del Kentucky, la pensionata di Ragusa, il bramino dell’Utta Pradesh, l’insegnante di Punta Arenas e lo skinhead di Liverpool. Tutta gente che quando entra da un benzinaio si incazzerebbe assai se trovasse le pompe chiuse per mancanza di materia prima. La stessa gente che, di tanto in tanto, colpita da filo ambientalite galoppante, s’incazza contro la logica criminale del profitto e maledice il mondo che cresce in maniera uncontrolled & unsustainable.
Mr Obama. Si presentò in pompa magna ben quattro volte sulla costa, strinse mani a destra e manca, strepitò contro la BP come uno scaricatore di porto qualsiasi, ma non cavò un ragno dal buco: il petrolio continuò a fluire. Finché il tappo al pozzo non fu messo. Chi fu a metterlo? Le chiacchiere del moro della Casa Bianca? No. La capacità tecnica della tanto vituperata BP. L’opera di ripulitura si presentò per quello che è: un problema gigantesco. E fu risolto solo dalla BP, vista l’incapacità dimostrata dalle organizzazioni governative americane. La tanto odiata BP, che aveva messo, dopo sforzi inumani, il tappo al pozzo. E non era per niente facile.
Non potendo fare altro, Obama fece il duro, e volle fargliela pagare molto cara, a questi British del cavolo. Pretese, e ottenne, che la BP costituisse un fondo di 20 miliardi di dollari per far fronte ai risarcimenti e alle spese di decontaminazione. E adesso giudici americani, per aumentare il conto, sono arrivati ad includere costi di migliorie ambientali future nelle zone interessate. Migliorie che toccherebbe all’Amministrazione Americana fare, a spese dei propri cittadini. Invece, si passa il conto alla BP. C’è da chiedersi se ci si sarebbe comportati allo stesso modo se al posto della BP ci fosse la Caltex o la Texaco. Again, I doubt assai.
Infine, dubito che la strategia del moro della Casa Bianca fosse very smart. Come quella di tutti i politici e magistrati e semplici cittadini che vogliono vendette estreme nei confronti delle aziende coinvolte in incidenti che creano problemi ambientali. E’ probabile che l’intento fosse di far fallire la BP, mandando a spasso i suoi 80 000 dipendenti e affondando un’azienda che fattura 240 miliardi di dollari l’anno. Ma chi, in caso di vendetta consumata, pagherebbe i danni e ripulirebbe il tutto? I contribuenti americani? O nessuno ripulirà mai?
E’ quello che è accaduto con l’ILVA di Taranto. Uccisa l’azienda, in strada i dipendenti, l’inquinamento resterà per l’eternità.
Non riesco a immaginare stupidità più grande.
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