di Mario Giardini
Il big bang avvenne circa 14 miliardi di anni fa. L’universo osservabile è il cosiddetto volume di Hubble, una sfera, con centro nella Terra, di circa 42 miliardi di anni luce di raggio (la distanza è maggiore di 14 miliardi di anni luce a causa dal processo inflattivo di Guth, di cui parleremo in un altro articolo). Vediamo fino ad una distanza pari a metri 4 per 10 alla 26ma potenza. Questo è il nostro orizzonte cosmico. Cioè il nostro universo. Tutto chiaro, no? Beh, insomma… questo è ciò che “vediamo”. Ma quel che vediamo è “tutto”? Cioè, in altri termini: non è che oltre l’orizzonte cosmico c’è dell’altro?
Una prima ipotesi, fondata su dati sperimentali (uniformità della distribuzione di materia su larga scala), è che sì, c’è dell’altro: altri “universi”, cioè altre bolle di Hubble che, semplicemente, non vediamo. Se ammettessimo l’esistenza di uno spazio infinito, o sufficientemente grande, tutto ciò che può accadere prima o poi… accadrà. Ne deriva che esisterebbe un numero immenso o infinito di altri universi governati dalle stesse leggi fisiche. Se sono infiniti, o un numero sufficientemente grande, la conclusione è che, da qualche parte, esiste una “replica” identica del nostro universo. L’insieme di questi universi “paralleli” costituisce il “multiverso”.
Non occorre ipotizzare niente altro che un universo infinito per arrivare al multiverso. Ma ci si può arrivare anche per altre strade. Alcuni dati raccolti dal satellite WMAP confermano che l’universo è o molto grande o infinito. La sua geometria sembrerebbe (non c’è ancora certezza) quasi piatta. La distribuzione di materia, su scale ampie, è uniforme. Infine, le fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo (CBR), residuo del grande botto da cui originò tutto, suggeriscono che il big bang deve aver generato tutte le possibili configurazioni di materia aventi probabilità non nulle.
Discorso complicato. Considerando quanti possibili stati quantici possono esserci per un volume di Hubble di temperatura non superiore ai cento miliardi di gradi Kelvin (la temperatura che si stima si ebbe al big bang), viene fuori che possono esserci, semplicemente… 2.10118, cioè 2 seguito da 118 zeri, di possibili configurazioni diverse. Quindi i possibili universi sono in totale:
20.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.
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Faccio a meno dei dettagli, ma la teoria quantistica porta a conclusioni analoghe. L’insieme di tutti questi universi (pensateli come bolle di Hubble troppo distanti perché l’una possa essere vista dalle altre) costituisce, come detto, il cosiddetto “multiverso”. Quindi da qualche parte esiste, come dicevamo all’inizio, un universo identico al nostro. E dunque esiste una copia di noi stessi. Strano? Molto. Ma la teoria della relatività ci ha abituato a cose strane. Pensiamo al tempo che rallenta a mano a mano che ci approssimiamo alla velocità della luce, oppure ai buchi neri. Quindi sembrerebbe che il problema non è se il multiverso esiste, ma piuttosto com’è fatto.
Nel concordance model, vengono distinti quattro “livelli”. Il livello I afferma semplicemente che tutti i possibili universi paralleli obbediscono alle medesime leggi, ma corrispondono a condizioni iniziali differenti. Sono bolle di Hubble che, dando tempo al tempo, prima o poi entreranno a far parte del nostro orizzonte cosmico. Facendo i conti, il più vicino di questi universi paralleli dista da noi una quantità di metri pari a 10 elevato ad un numero che è 10 elevato alla 28ma potenza. E che, a una distanza in metri pari a 10 elevato ad un numero che è 10 elevato alla 92ma potenza, esiste un universo identico al nostro, costituito da una sfera di 100 anni luce di raggio, dove tutte le “percezioni” durante i prossimi 100 anni sono esattamente quelle che ci saranno qui, nel nostro universo, nei prossimi 100 anni. Quindi da qualche parte c’è, in questo momento, un mio sosia che sta scrivendo questo articolo che ha per tema la sua bolla di Hubble.
Complicato? No: questo, per i cosmologi, è il meno controverso fra il possibili multiversi. Il Livello I è utilizzato costantemente per valutare una nuova teoria cosmologica. Se queste teorie non dimostrano che, prendendole per buone, danno luogo ad un universo come quello in cui viviamo, un universo “reale” del multiverso di Livello I, allora la teoria in questione viene scartata.
Se il multiverso di Livello I vi appare strano, quello di Livello II vi apparirà impossibile di grado cubico: si tratta in sostanza di immaginare un insieme di infiniti multiversi di Livello I. E’ la cosiddetta teoria dell’“eterna inflazione caotica”. Per semplificare: dopo il primo big bang, e mentre l’universo da esso generato si espande “inflazionariamente”, in alcune regioni di spazio l’espansione si ferma e si origina un nuovo big bang, e così via, all’infinito. Ogni big bang da luogo a una sorta di “bolla” (vedi foto) dove lo spaziotempo ha dimensioni diverse da quelle che sperimentiamo noi e le costanti fisiche, cioè le leggi fisiche, sono diverse da quelle del nostro universo. I due livelli descritti sono insiemi di universi troppo distanti per essere visti.
Il Livello III, invece, è il prodotto di una interpretazione della teoria quantistica. Una cosa piuttosto complicata. Ha a che fare con quello che si definisce collasso dell’equazione d’onda di Schroedinger, affare assai problematico, aggirato da uno studente di Princeton che ipotizzò infiniti universi che coesistono in uno spazio di Hilbert e che vengono generati continuamente. Sono le diramazioni o sovrapposizioni quantiche.
Infine, abbiamo il livello IV. Esso è fondato sulla corrispondenza fra matematica e fisica. In sostanza, si tratta di scegliere di essere platonici invece di aristotelici. Secondo Aristotele, la realtà fisica è quella fondamentale, e la matematica serve a rappresentarla, cioè è una mera approssimazione. Secondo Platone, invece, la realtà ultima è quella matematica (il mondo delle idee), che noi esseri umani percepiamo imperfettamente, perché la nostra visione è offuscata dal mondo fisico.
I fisici moderni tendono ad essere platonici. Essi pensano che la matematica descriva il mondo fisico così bene perché l’universo è intrinsecamente matematico. Una struttura matematica è una entità astratta immutabile che esiste fuori del tempo e dello spazio. Se la storia dell’universo fosse un film, la struttura che lo descrive è l’insieme di tutti i fotogrammi. Passato, presente e futuro coesistono, una realtà dove il tempo non compare più. Max Tegmark ha proposto l’ipotesi estrema: tutte le “strutture” matematiche esistono fisicamente. Il multiverso è la materializzazione della matematica.
Domanda: dovremmo credere negli universi paralleli, e dunque nell’esistenza del multiverso? Occam sembrerebbe consigliare di no: perché la natura dovrebbe essere così complicata e poco efficiente da produrre universi che non possiamo mai osservare? Abbiamo però affermato che il Livello I è comunemente accettato in cosmologia. E contiene spazio e materia in quantità infinita. Dunque che importanza avrebbe, dal punto di vista di Occam, accettare come validi gli altri livelli? Una non necessaria complicazione rispetto al livello I sarebbe la risposta canonica. Cioè la maggior quantità di informazione necessaria per descrivere i livelli successivi al primo. Si può dimostrare che non è vero (qui però entrano in gioco considerazioni matematiche). Per quanto possa sembrare incredibile, spesso lo studio di un insieme è più semplice dello studio delle sue parti. La teoria cinetica dei gas è un esempio.
In questo senso, il passare dall’idea di un singolo universo a quello del multiverso di Livello I elimina la necessità di specificare le “condizioni iniziali” che diedero luogo al nostro universo. Passando dal primo al II livello, possiamo evitare di specificare le costanti fisiche. Il Livello IV poi elimina la necessità di specificare alcunché. Occam in persona finirebbe per adottare il Livello IV.
L’idea che l’universo non sia unico è certamente bizzarra e sfida convinzioni umane millenarie.
Ma dopo tutto, se ci si pone domande complicatissime, come quelle sulla natura ultima dell’universo, per quale motivo ci dovremmo attendere risposte non complicatissime?
2 commenti
Pier Vittorio
Il fatto è dovuto a due ragioni, secondo me.
La prima: ragione storica. E’ il primo modello derivato dalla relatività, e non può essere ignorato, perché dalle sue limitazioni sono nati gli studi successivi che hanno portato ai differenti modelli attualmente in essere.
Seconda ragione: è un modello supportato dalle scoperte sperimentali. Wilson e Penzias hanno scoperto la radiazione cosmica di fondo, che il modello all’inizio ipotizzava. Hubble ha mostrato sperimentalmente che l’universo si espande. Guth ha contribuito, successivamente, a proporre una spiegazione al perché di un universo così grande.
Il tutto ha portato a domandarsi, naturalmente, se l’espansione finirà oppure no, alla introduzione della costante cosmologica, all’ipotesi prima e alla verifica poi, dell’esistenza della materia oscura, all’idea dell’energia oscura, e così via. Le equazioni di Einstein forniscono due possibili geometrie: finita ma illimitata, o infinita e illimitata.
Inoltre, nonostante tutti i suoi limiti, questo modello semplificato si accorda molto bene con la realtà fisica che conosciamo.
Un buon libro che riassume bene, dal punto di vista puramente fisico, l’evoluzione dei modi di pensare l’universo è Il paesaggio cosmico, Leonard Susskind, Adelphi.
Grazie per l’apprezzamento.
Ciao Mario!
Innanzitutto i miei complimenti per il tuo sito, che ho scoperto solo da qualche giorno e di cui diventerò assiduo frequentatore.
Mi sono chiari i ragionamenti che portano alle varie ipotesi di multiverso(inflazione, quantum multiverse di H. Everett, teoria delle stringhe, principio antropico debole)decritti molto bene, tra l’altro, da Brian Greene nel suo libro“ The hidden reality”. Tuttavia, non riesco a capire come l’ipotesi che il nostro universo sia infinito possa essere compatibile con un solo Big Bang. Eppure, vedo che molti cosmologi citano questa possibilità, senza però fare riferimento a una delle ipotesi di multi verso sopra citate.(es. Brian Greene nel libro citato, Jim Al-Khalili: “Black holes,Wormholes, and time machines” e altri). Mi puoi illuminare?
Pier Vittorio Gard