L’America celebrò il centenario della dichiarazione di indipendenza con una esposizione universale che si tenne a Filadelfia dal 10 maggio al 10 novembre 1876. E che fu visitata da quasi 10 milioni di persone.
L’attrattiva principale si rivelò un esemplare gigante di motore a vapore del tipo Corliss, che fornì l’energia meccanica necessaria all’intera manifestazione. Un motore stupefacente: due cilindri contrapposti di circa 1 m di diametro e tre metri di corsa. Un volano da oltre nove metri di diametro, necessario ad assicurare la costanza del regime rotatorio. Un “mostro” che pesava 600 tonnellate e forniva una potenza pari a 1400 hp.
In pratica, occorrevano circa 360 Kg di materiale per fornire un hp. Oggi, il motore da 100 hp montato su una utilitaria pesa non più di una settantina di kg. Dunque bastano 700 grammi di materiale per ogni HP. Espresso in gr/W, si è passati da in poco più di un secolo da 482gr/W a 0.94 gr/W. Una riduzione di peso di 520 volte.
A sua volta il motore di Corliss aveva ridotto, rispetto al motore di Watt, di circa due volte il peso per ogni unità di potenza sviluppata.
Il 27 gennaio 1880 Edison ottenne il suo brevetto per una lampadina ad incandescenza migliorata (US pat 0.223.898). Era riuscito a produrre un filamento incandescente a carbone, di durata sufficiente per permetterne la commercializzazione. Il suo competitor principale era la lampada a gas di città, molto diffusa sia nelle case private che nell’illuminazione pubblica (e dure a morire: nel 1950 una parte dell’illuminazione pubblica di Stoccolma era ancora a gas). Ed, in parte, le lampade ad arco elettrico, estremamente inefficienti e costose.
Lampada ad incandescenza di Edison
Ma ovviamente la lampadina aveva bisogno di energia elettrica per funzionare. Il ché significava progettare, costruire e manutenere un sistema che generasse corrente, la trasportasse a distanza e la distribuisse negli ambienti da illuminare. Che comprendesse anche cassette di giunzione, strumenti per misurare l’energia elettrica consumata, interruttori, materiali di isolamento e fusibili di sicurezza. Nel nostro linguaggio corrente: bisognava progettare e realizzare ex novo una rete elettrica. La prima rete elettrica commerciale al mondo.
Ci vollero due anni per concepire e realizzare il sistema. Nel 1882 Edison mise in servizio la prima centrale elettrica di New York, la celeberrima Pearl Street Central Station. Generava elettricità per 59 clienti della Edison Illuminating Co. che in tutto avevano installate circa 1300 lampadine.
La centrale funzionava con quattro caldaie Babcock & Wilcox che consumavano, ogni giorno, 5 tonnellate di carbone e 11500 galloni americani di acqua, pari a oltre 43500 lt. Fu necessario costruire una dinamo, cioè un generatore di corrente continua, del peso di 27 tonnellate, progettata da Edison e dai suoi collaboratori. Un dispositivo tratto da un progetto anteriore di Herr Werner Siemens cui si erano ispirati.
La dinamo era quattro volte più grande e potente di quelle fino ad allora installate. Ma ce ne volevano sei per produrre i 100 kW circa necessari al progetto. Alle dinamo fu dato il nome di Jumbo, il nome di uno degli elefanti del circo Barnum.
Generatore centrale elettrica di Pearl Street
Edison ritardò la fatturazione del servizio fino al momento in cui fu certo della stabilità e affidabilità del suo sistema. La prima fattura fu mandata ad una fabbrica di nome Ansonia. Era il 18 gennaio 1883 ed il conto ascendeva a 50,44 $. Ogni lampadina costava 1 dollaro. Un prezzo assai elevato per l’epoca.
Stabilizzato il business, Edison passò alla fase successiva: costituire un gruppo di aziende che si incaricasse di progettare, costruire e vendere i necessari componenti.
Il Sistema non solo era rivoluzionario, ma funzionava benissimo. Il New York Times fu tra i primi, entusiasti clienti. Scrisse che la luce prodotta da Edison era “soffusa e delicata, rilassante, gradevole agli occhi”, se comparata con le esistenti lampadine elettriche ad arco.
Ma il ritorno commerciale nei primi anni fu deludente. Il costo dell’impianto, 300.000 $ dell’epoca, una enormità, fu dovuto principalmente alla costruzione dei circuiti sotterranei di distribuzione di energia elettrica. Costi rivelatisi molto maggiori del previsto. Anche il costo del carbone, dati i consumi, era ingentissimo. Il pareggio fu raggiunto solo dopo tre anni.
Ma l’elettricità si rivelò una innovazione straordinaria, forse la più straordinaria dal tempo in cui l’uomo imparò a controllare il fuoco.
Appena vent’anni dopo, nel 1900, a Elberfeld (Germania) entrò in servizio una centrale elettrica da 1 MW.
Era un turbo-generatore a vapore, utilizzante una turbina Parsons, che lavorava ad una temperatura inferiore ai 200°C e ad una pressione leggermente superiore alle 10 atmosfere. L’efficienza termica complessiva, cioè il rapporto fra la quantità di energia ottenuta sotto forma elettrica ed il totale di quella consumata era intorno al 5%. Oggi la considereremmo ridicolmente bassa.
Infatti, le moderne unità a vapore convenzionali forniscono una potenza fino a 1 GW, cioè mille volte quella di Elberfeld. Lavorano col vapore intorno ai 600°. E a pressioni dell’ordine delle 200 atmosfere. E con rendimenti intorno, o leggermente superiori, al 40%.
Quelle a ciclo combinato, poi, superano il 60%. Le più moderne utilizzanti i motori diesel a due tempi stanno intorno al 50%.
Una costante del progresso tecnologico è far sempre meglio quello che funziona già. Questo significa ingombri minori, minori consumi, minori pesi, maggiore efficienza, sia energetica che nella funzione specifica dell’apparato.
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