Motori primi, energia e globalizzazione – Parte 8 – Esotermia o endotermia? Il motore a vapore e il motore a benzina

di Mario Giardini

mercedes 35Le innovazioni introdotte da Darby e Newcomen ad inizio ‘700, e cioè la produzione di ferro mediante carbon coke, ed il motore a vapore, significarono l’introduzione di una nuova, rivoluzionaria, fonte di energia primaria, il carbone. Fonte destinata a sostituire il legno e ad essere la principale per oltre 250 anni.

La transizione dalle biomasse al carbone fu lenta. Ad inizio ‘800 se ne producevano circa 20 Milioni di tonnellate (Mt). Che diventarono 100 nel 1850 e circa 800 a fine secolo. Approssimativamente il 95% dell’energia consumata dal pianeta nel 1900 veniva dal carbone. Appena 10 – 20 anni prima, nel decennio degli anni ‘880, l’energia da carbone aveva superato il 50% del totale.

Oggi (dato 2013) se ne producono ancora circa 5.800 Mt, e l’uso è confinato soprattutto alla produzione di energia elettrica e a quella dell’acciaio, negli altoforni che usano il carbon coke. Il carbone rappresenta il 30,1 % del totale di energia consumato dal pianeta. Ed è in aumento, causa l’aumento di potenza installata per produrre elettricità e acciaio in India e Cina (e, parzialmente, Brasile).

Il motore a vapore di Newcomen è quello che si definisce un motore eso-termico. Con ciò si intende un ciclo di trasformazione di energia termica in energia meccanica con un sistema che prevede la generazione di vapore in un dispositivo esterno (caldaia) a quello che trasforma l’energia cinetica del vapore in lavoro meccanico.

Il vapore prodotto dalla caldaia viene inviato all’interno di un cilindro che contiene un pistone. Il vapore provoca il moto del pistone, moto che è rettilineo e alternativo e che ha bisogno di essere convertito in circolare per muovere una ruota o generare elettricità mediante un alternatore.

locomotiva a vaporeQuesto disegno di una vecchia locomotiva a vapore illustra lo schema concettuale.

E’ un sistema che funziona benissimo. A prezzo, tuttavia, di dimensioni sempre gigantesche e consumi, cioè efficienze di conversione, pessimi. Ma, come si direbbe oggi, è il concept che, a partire da Newcomen, è stato migliorato e affinato nel tempo. Ha retto per oltre duecento anni, industrializzando il pianeta, rivoluzionando i trasporti, e cambiando per sempre la vita quotidiana dell’umanità intera.

Gli aspetti negativi non sono solo legati alle dimensioni e alla pessima efficienza globale. A ciò si aggiunge la bassa densità di energia del carbone, che costringe a prevedere grandi carbonaie e a rifornirle frequentissimamente, diminuendo lo spazio utile ed il carico pagante.

Si pensi ad una nave a vapore, che imbarcava centinaia di tonnellate di carbone per la traversata Londra – New York. E che per fare il giro del mondo doveva rifornirsi cinque o sei volte. O a un treno, costretto a portarsene dietro un vagone. Pensate al consumo di acqua, e alla necessità di serbatoi e rifornimento. Ed al numero di uomini impegnati a mantenere in temperatura e pressione giuste la o le caldaie. Un problema serio sempre, ma serissimo se si è a bordo di una nave militare impegnata in battaglia.

Insomma, un sistema largamente inefficiente e costoso. Per decenni, durante l’800, si cercò un’alternativa più efficiente. Si voleva migliorare il rendimento, diminuire le dimensioni, diminuire i consumi, aumentare le potenze. Che sono traguardi tipici, costanti, perseguiti con ostinazione, in ogni settore della tecnologia.

Come sempre in questi casi la risposta venne da un schema concettuale completamente nuovo. Che poté realizzarsi a fine ‘800.

Ma non fu solo questione di nuove idee. Fu possibile perché si erano nel frattempo realizzate quattro pre-condizioni, tutte assolutamente necessarie. Primo: c’erano nuovi combustibili. Cherosene, gas, benzina, oli residui della distillazione del petrolio. Secondo: c’erano nuovi materiali. In primis, l’acciaio. E, terzo, ma non meno importante: c’erano nuovi utensili, che permettevano lavorazioni con livelli di precisione che Mr Newcomen o Mr Watt potevano solo sognarsi. Infine, quarto: erano disponibili alcuni sistemi ausiliari, fra i quali l’accensione elettrica.

Il primo a costruire e far funzionare un motore endo-termico, cioè a combustione interna, fu un signore dal nome altisonante: Jean Joseph Etienne Lenoir. Ottenne, per il suo dispositivo, un brevetto. Anno: 1860. Era un motore non compresso, a gas, con sistema di accensione elettrico, 200 giri al minuto circa e rendimento dell’ordine del 4%. Potenza intorno ai 2 kW, cioè 3 HP. Ne costruì, e vendette, qualche centinaio di esemplari. E, nel 1862, fece una prova di cui non comprese l’importanza: montò il motore, una versione a benzina, su una carrozza che percorse 18 km. Dopodiché, per ragioni a noi ignote, smise di occuparsene.

Il concept teorico del motore a combustione interna a quattro tempi è dovuto a un altro francese: Alphonse Eugene Beau. Noto successivamente come Beau deRochas. Ottenne un brevetto nel 1862, descrivendo (senza disegni) un motore capace di aspirare una miscela di gas e aria, comprimerla con un pistone all’interno di un cilindro chiuso ad una estremità, bruciarla e poi usare l’energia termica ottenuta per spingere violentemente il pistone, che a sua volta fa ruotare un albero motore. Nei motori a quattro tempi, le quattro fasi vengono compiute con due giri completi dell’albero motore. Nei motori a due tempi, con un solo giro.

Il principio di base dei motori endo-termici è quello esposto, ed è, relativamente, semplice. A fare il passo avanti decisivo nella realizzazione pratica dell’aggeggio fu un tedesco: Nicolaus August Otto.

Come spesso capitava all’epoca, Herr Otto non aveva, come si direbbe oggi, alcun technical background.

Faceva il venditore per un grossista di derrate alimentari. Ma si appassionò così tanto all’invenzione di Lenoir da trovare un finanziatore e costruire un motore a due tempi, non compresso, a gas, rumoroso e pesante, che vinse il primo premio all’Esibizione di Parigi nel 1867 perché era due volte più efficiente dei concorrenti che si presentarono al concorso. Otto iniziò la produzione industriale l’anno, dopo fondando la Gasmotorenfabrik Deutz AG.

Altri (Maybach, Benz, Daimler, Ford) contribuirono grandemente allo sviluppo del motore a ciclo Otto. Che si rivelò il più adatto alla locomozione terrestre.

L’utilizzo della benzina al posto del gas permise di utilizzare un combustibile con densità di energia 1600 volte maggiore. La compressione della miscela ridusse peso ed ingombro dei motori, che all’inizio erano pesanti e grossi come quelli a vapore.

In poco più di trent’anni si riuscì a costruire automobili come questa Mercedes 35, progettata da Wilhelm Maybach e Paul Daimler e prodotta nel 1901 dalla DaimlerMotoren Gesellschaft. Il 35 fu scelto per indicare i 35 HP di potenza.

Una macchina che avrebbe stabilito il primato mondiale di velocità di lì a poco: 64 km/h. Poiché il motore pesava appena 230 Kg, ciò significava un rapporto peso/potenza di 9 gr/W. Dato da confrontare con i circa 270 gr/W dei primi motori Otto.

Ma il motore a benzina aveva, ed ha ancora, molte limitazioni. Ci vollero una trentina di anni per passare a rendimenti intorno al 20% (inizio ‘900) ed ancora oggi è raro superare il 30%.

Alcune limitazioni sono dovute alla benzina stessa, che tende a detonare se il rapporto di compressione è elevato. Per almeno 40 anni non si riuscì a superare il valore di poco più di 4:1. Ciò, in sostanza, limitava (e limita tutt’ora, nonostante oggi si ottengano rapportidell’ordine di 10:1) grandemente le potenze ottenibili. Costringeva a costruire motori più grandi e pesanti, perché l’aumento di potenza era possibile solo con grandi cilindrate. E con aumenti del numero di giri, cioè di cicli utili di conversione calore – energia meccanica.

Il secondo aspetto era il costo della benzina. Ciò era dovuto, essenzialmente, ai processi di distillazione di fine ‘800, invariati nella sostanza fino agli anni ‘930, assai rudimentali, e poco efficienti.

Solo raramente, e con l’uso di petrolio leggero, cioè pregiato, si ottenevano rese (in benzina per autotrazione) dell’ordine del 10%. Un terzo aspetto, importante, erano i bassi rendimenti.

Tutto ciò costrinse, da un lato, a migliorare freneticamente il motore a benzina.

E, dall’altro, fu un forte incentivo per la ricerca soluzioni più efficienti ed economiche.

Fu un tedesco, ancora una volta, a trovare un concept diverso: Rudolf Diesel.

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