di Mario Giardini
Quale sistema di insegnamento nel XXI secolo?
Scolarità. Nel 1951 solo l’1% della popolazione italiana possedeva una laurea.
Cinquanta anni dopo, la percentuale era salita al 7,5 %. Nel 2012, l’Istat riporta un totale di 6.120.000 fra dottorati, laurea specialistica e laurea triennale. Ciò corrisponde al 11,8% della popolazione.
In sessant’anni, un aumento di undici volte: oltre il 1100%.
Nel 2012, il numero di laureati è stato di 86.541, le femmine sono il 57,2%, i fuori corso il 49,8 % (!). Tralasciamo per un momento la “qualità” delle lauree, la reale impiegabilità di chi le possiede, e la congiuntura economica.
Questi 86.541 hanno di fronte un’aspettativa di vita superiore ai 60 anni. E non meno di 45 anni di vita professionale. Forse 50. Forse più.
In nessun paese esistono strutture pensate ed organizzate per aggiornare costantemente, il che significa rivoluzionare, le conoscenze di cui il cittadino, indipendentemente dalla sua scolarità, avrà bisogno, lasciata la scuola, per vivere consapevolmente, e liberamente, nel proprio tempo.
E’ tutto affidato a un “fai da te” personale, o, in circostanze fortunate, aziendale. Ammesso che funzioni il fai da te, per questi 86.541 sarà, con ogni probabilità, e per forza di cose, focalizzato sull’aggiornamento delle conoscenze professionali.
Ammesso che si possa conservare la propria professione per un periodo così lungo. Cosa di cui non si può affatto essere certi. Anzi, è assai probabile che il futuro di una buona parte della popolazione sarà caratterizzato di numerosi cambi di professione durante la propria vita lavorativa.
Ed il resto? Cioè quell’insieme di conoscenze che diventa ogni giorno più vasto, che modifica profondamente la nostra vita e che ogni giorno ci è più estraneo e lontano?
In altri termini: come è possibile appropriarsi delle “cognizioni” per formarsi una cultura, nel XXI secolo, laddove per cultura si intenda (Treccani) “L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio”.
Conoscenza diffusa. Si dirà: in rete si trova tutto. Naturalmente, non è vero. E, comunque, anche lo fosse, non è scontato che questo “tutto” sia utile, e utilizzabile.
Basta provare a fare una ricerca qualsiasi. Ho appena cliccato “biomimesi”: 9.750 documenti, trovati in 0,30 sec. 9.750 documenti sono ovviamente troppi. E sarebbero troppi anche 97, cioè 100 volte meno. Ce ne sono ovviamente di ripetuti. E, ovviamente, non c’è certezza alcuna sulla loro attendibilità, accuratezza, aggiornamento, completezza.
Più si espande e più la rete somiglia alla Biblioteca de Babel. Più si espande e più si dimostra per quello che realmente è: un eccezionale meccanismo per produrre entropia, che è la misura dell’incertezza.
Individui e conoscenze che modificano le nostre vite. Il 22 febbraio del 2000, alle soglie dei settant’anni, Neil Armstrong tenne un discorso alla riunione annuale della National Accademy of Engineering. Il titolo del suo discorso fu “The engineered century”. Il tema era: quali sono state le 20 più importanti tecnologie del 20 secolo? Quelle, cioè, che hanno impattato, rivoluzionato, e certamente migliorato, ciò che intendiamo comunemente per “qualità della vita”.
Se lo chiedessimo a noi stessi, che risposte daremmo? Internet? 13° posto. I computers dove li collochereste?
Inserireste nell’elenco le tecnologie di raccolta, purificazione e trasporto dell’acqua? Se sì, in quale posizione? Se no, perché no?
Nativi digitali. Mi è capitato di domandare a una quindicina di ventenni, tutti universitari, che cosa significhi “digitale”. Nessuna risposta corretta. Ho chiesto loro anche cosa fosse Internet. Risposta prevalente, ed errata: una rete.
Ho chiesto, in un altro contesto, se qualcuno avesse mai sentito parlare di Claude Elwood Shannon. Totalmente sconosciuto perfino a due studenti di ingegneria del II anno.
Eppure, Shannon sta alla teoria dell’informazione come Shakespeare al dramma teatrale, e Michelangelo all’arte.
Piccoli tests che provano la crescente ignoranza anche di chi è in età scolare. Ed il crescente grado di analfabetismo fra chi la scuola ha già abbandonato da tempo.
Si può definirsi nativi digitali senza sapere cosa significa digitale?
Conoscenza, capacità di giudizio e libertà. Si dirà che non è necessario saper progettare, o sapere come è fatto un gasdotto, per usare bene il gas in cucina e preparare un’eccellente parmigiana. E’ vero.
Ma è altrettanto vero magari poi qualcuno un giorno bussa alla tua porta. E ti racconta che è in progetto un mega-gasdotto che distruggerà irreversibilmente le coste della tua amatissima regione. Che peraltro tu e i tuoi conterranei avete alacremente demolito e imbruttito negli ultimi decenni. Come però non convenire che sia uno scempio da evitare? Come non appoggiare che tenta di impedirlo?
Quello che in genere non sai è che il mega-gasdotto è un tubo da 48” (1,22 m di diametro, l’altezza di un ragazzino di 7 anni). Che sarà interrato ad almeno 1,5 m di profondità. Che in tutto avrà una lunghezza di 8 km sulla terraferma. E che, in Italia, di gasdotti ce ne sono già 33.000 km e passa.
Non sai che la stazione terminale non prevede accumulo, dunque si limita a pompare in rete il gas in arrivo. Niente serbatoi giganteschi. Otto – dieci ettari in tutto, dove lavoreranno, fra diretti ed indotto, qualche centinaio di persone. Insomma, il mega-gasdotto è solo una flebo da 10 miliardi di mc all’anno, con possibilità di arrivare a 20.
Infine, quello che non ti viene detto è che il 40% dell’energia elettrica del tuo paese si produce con il gas, che dipendiamo da soli tre fornitori, capaci di strozzarci, anche economicamente, a piacere. Che un fornitore in più ci darà più sicurezza e probabilmente migliori prezzi. E che se vuoi il gas per la parmigiana da qualche parte dovrà pur arrivare.
Dov’è finita la tua capacità di giudizio e la tua libertà di scelta?
L’apprendimento permanente. Come tutti, ho ascoltato i discorsi di politici, sindacalisti e le interviste agli insegnanti in sciopero.
Sinceramente, mi cadono le braccia. Per la miopia, il provincialismo, i piccoli interessi di bottega, il tirare a campare, la visione ottocentesca del problema, le contrapposizioni sgangheratamente ideologiche, le bugie.
Un piccolo minestrone fatto di tecnologie che cinquant’anni fa non c’erano: Satelliti. Rene artificiale. Macchina cuore polmone. Antipolio. Jets. CAD/CAM. Cellulari. PC. Internet. Microprocessori. Elettrocardiogramma. Fax. Fibre ottiche. Olografia. Insulina. HD. Laser. Spettrografia di massa. Neoprene. Nylon. Pacemaker. Radar. Sonar. Vaccino antipolio. Tablets. RMN. Alcune di queste tecnologie sono comparse e, ai fini pratici, anche scomparse, come il fax.
Oggi, e a maggior ragione, nel futuro, il problema è come rendere l’istruzione permanente. Come coniugare la cultura umanistica con quella tecnico-scientifica.
Come fare? Chi farà: pubblico, privato, un misto? Da dove prelevare i mezzi per finanziare? quali le tecnologie (molte sono disponibili, altre verranno)?
L’obbiettivo ultimo dovrebbe essere tradurre l’universo delle conoscenze umane in un linguaggio comprensibile a tutti. Ed a tutti reso accessibile, in ogni ora ed in ogni luogo.
In quest’ottica, un ruolo fondamentale lo si può affidare anche a chi, finita l a vita lavorativa, è ancora pieno di energie, in salute, carico di esperienze e, non di rado, di saggezza.
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