Cultura – 3 – Brexit: giusta o sbagliata?

di Mario Giardini

economia-brexitDopo il voto sulla Brexit, quali sono gli obblighi della GB? Oltre a notificare formalmente la sua uscita, nessuno.

In  base all’articolo 50 della versione consolidata del “TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA E DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA” (GU Unione Europea del 30.3.2010) la Gran Bretagna, dopo la notifica di recessione dall’Unione (prevista dal paragrafo 2), non è obbligata afare niente. Infatti, il paragrafo 3 dell’art 50 recita: “I trattati (tutti, ndr) cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine.”

Quindi, a tutti quelli che pretendono, esigono, urgono che la Gran Bretagna sieda al tavolo delle trattative con l’UE per negoziare l’uscita si dovrebbe ricordare la piccola, sacrosanta raccomandazione di sempre: keep calm, and read the papers. La Gran Bretagna, se vuole, non negozia nulla. Senza infrangere il Trattato. Avvisa che vuol levare le tende, e dopo due anni, le leva. Punto. Meglio: full stop.

Euro. Dei 28 paesi dell’Unione, ora 27, solo 19 hanno adottato l’Euro. Nove, fra cui Polonia, Svezia, Ungheria e GB si sono rifiutati. Nessuno si sogna di accusare chi non l’ha fatto di speculazione. E’ una decisione che spetta ai parlamenti nazionali, cioè agli eletti in rappresentanza dei cittadini. La Gran Bretagna ha esercitato un suo diritto. Per lungo tempo, la sterlina è stata molto forte nei confronti dell’Euro? Il suo PIL è cresciuto molto di più di quello degli altri paesi, Germania compresa? Merito delle politiche del paese, della congiuntura internazionale, del volere degli dei della finanza, di chi volete. Certo, non del fatto di avere “bassamente speculato” esercitando un proprio diritto di scelta.

Perché l’Unione era nella testa dei padri fondatori? Troppe guerre, tutto qui. Basta una ripassatina ai libri di storia. E soffermarsi sul secolo e mezzo che va dalla Rivoluzione Francese del 1789 al 1945. Si contino le guerre europee. E, possibilmente, i morti. Le distruzioni. Le malvagità. I campi di sterminio. I gulag. Francia, Germania, Italia non avevano, in generale, una cultura in comune. Ciascuna cultura aveva contaminato le altre e ne era stata contaminata. Ma italiano, inglese e tedesco sono tipi culturali nettamente distinguibili fra di loro.

Non esisteva, come non esiste oggi, una “cultura” europea. Non era dunque per ragioni culturali che si voleva costruire una federazione di stati. Ma alcuni italiani, francesi, e tedeschi avevano in odio le guerre. Ecco la ragione di quella che inizialmente fu la Comunità Economica Europea. Si pensava che uno spazio comune economico avrebbe portato a una maggiore conoscenza reciproca. Ma, soprattutto, si confidava di creare una situazione in cui la guerra sarebbe stata la scelta peggiore dal punto di vista economico. Cioè, in altri termini: non fare la guerra, non conviene. Conviene, invece, la pace. Non grandi principi e lungimiranza secolare, ma un sano buon senso: progetta una nuova granata per un cannone da 88 mm. Spara una cannonata e distruggi un carro armato. Oppure. Fabbrica un carburatore migliore, o inventa l’iniezione elettronica, e rendili adatti a FIAT, VOLKSWAGEN, SEAT, VOLVO, JAGUAR, RENAULT.  Nel primo caso, ti aspetti una o più cannonate in ritorno; nel secondo, più ordini e più soldi. Per quasi sessant’anni, ha funzionato. E’ vero. Ma il resto?

Gli europei mancati. Che cosa è accaduto agli europei? Nulla. Per il semplice motivo che non se ne sono prodotti in sessant’anni. Francesi, tedeschi, italiani, spagnoli sono rimasti, sostanzialmente, gli stessi. Perché? Ci sono due modi per unificare gli uomini. La forza maggiore del Potere. Che provoca una unificazione effimera: quando la forza impositiva non c’è più, l’unificazione, finta, va in pezzi. O una lingua comune. Mancano, gli europei, di una lingua in comune: condizione necessaria, seppur non sufficiente. E’ la lingua che permette di unificare, in assenza della forza. E’ la lingua che rende comprensibile il passato, i miti, le tradizioni, direi perfino i paesaggi del comune vivere e sentire. Direte: ma la prima generazione di immigrati, da questo punto di vista, si perde sempre. Vero. Me le seconde e le terze cominciano ad intendersi appena si apre bocca.

Direte ancora: e l’Erasmus? Si è rivelato un mediocre equivalente del militare a Cuneo delle barzellette che non fanno più ridere. Il siciliano di Cefalù va per 18 mesi a Cuneo. Non capisce nulla del dialetto, all’inizio; e, men che meno, dello stile di vita. Quando incomincia a capire qualcosa, perché incomincia a parlicchiare in dialetto cuneese e ad avere una mezza morosa piemontese, deve tornare a casa. Stessa solfa per l’universitario di Utrecht che spende il suo semestre ad Alicante. Verrebbe da dire con Seneca: ho imparato finalmente a vivere, ma ormai è tempo di morire. Gli europei non ci sono, e, probabilmente, non ci sono mai stati. E non ci saranno mai, se non si incomincia dalla lingua.

La cieca ripetizione dell’errore. L’Europa da 6 è passata a dodici, poi a quindici, poi a ventotto. Una fretta assurda, stupida, ha reso ingovernabile quello che già a dodici o quindici era difficilmente governabile.  Se solo sei stati non sono riusciti a mettersi insieme sul serio in più di vent’anni, e a costituire una Unione vera, durevole, accettabile in larga misura dal lussemburghese e dal siracusano, come pensi che si riuscirà con dodici, venti o ventotto paesi, ancor più lontani mentalmente?

Certo, c’erano buoni argomenti a sostegno dell’ampliamento. Ma erano politici, di potere, di blocchi contrapposti: eredità della guerra fredda. Bisognava togliere paesi all’influenza russa, prima che i russi si riavessero dal tracollo. I baltici, la Polonia, l’Ungheria, la repubblica ceca. Buoni argomenti dal punto di vista politico, nulli o controproducenti dal punto di vista del creare una vera unione, un paese unico in cui ciascun europeo possa riconoscersi. E per il quale sia disposto a combattere, qualora sia necessario. In fila per entrare nella UE, in questa coda invereconda dal punto di vista sociale, individuale, ed economica, c’è, fra gli altri paesi, la Turchia. Chi, visti i fallimenti dell’integrazione a 28 può ragionevolmente pensare che le cose diventeranno più facili inserendo 80 milioni di musulmani nell’Unione? Solo un cieco. O un traditore.

Civiltà occidentale. L’Occidente è figlio dell’Europa, da ogni punto di vista. Anche guardando indietro di tre millenni. Ora siamo sotto attacco, cioè in guerra. La cosa non ci piace, perché non siamo pronti a combattere, soprattutto a combattere per quello che chiamiamo “civiltà occidentale”. Alcuni odiatori professionali, e professionisti della denigrazione dell’occidente, hanno fatto un buon lavoro. Anestetizzata la maggioranza che conta, cioè quella che scrive sui giornali, fa i telegiornali o siede in parlamento o al governo, rimane una sparuta minoranza a difendere le ragioni del nostro essere. Si ha perfino paura di affermare ciò che è sotto gli occhi di tutti: siamo nel pieno di un clash among civilizations, per dirla con Huntington.

I nostri politici, tutti, hanno una paura fottuta di queste parole: scontro culturale. Che cosa dice Huntington? “ … the fundamental source of conflict in this new world will not be primarily ideological or primarily economic. The great divisions among humankind and the dominating source of conflict will be cultural.” Più Avanti Huntington spiegherà meglio il suo concetto, dicendo che ciascuno di noi, in futuro,  si identificherà mediante la sua appartenenza a una delle civilizzazioni (Occidentale, Confuciana, Giapponese, Islamica, Indù, Slava-Ortodossa, Latino-Americana e forse anche Africana). La Religione, benché non elemento prevalente di identità, sarà comunque un legante speciale, caratterizzante.

Non per caso i killers di Charlie Hebdo urlavano Allah-U-Akbar: mostravano la propria carta di identità. Ci dicevano chi sono e perché ci uccidono. Si dirà: nati in Francia, cittadini francesi. Balle. Erano islamici a tutti gli effetti. E magari credevano davvero che in paradiso li aspettassero 72 vergini. Non puoi, ragionevolmente, affermare che uno che uccide a sangue freddo urlando al suo dio, sia per davvero un francese o un tedesco o un  italiano. Non basta nascere su un territorio, o lavorarvi per anni, pagare le tasse e sposare una indigena, averne il passaporto e magari aver fatto il militare,  per essere un cittadino vero di quel paese. E non basta neanche la lingua: condizione necessaria, ma non sufficiente. Non lo sei se la civilizzazione che ti porti dentro non è quella del paese dove sei nato, ma una diversa.

Destino di guerra, dunque? Mi piacerebbe rispondere  di no. Ma tutto lascia pensare che senza una guerra, combattuta con tutti i mezzi necessari, non ne usciremo.

La Brexit perciò è un bene?  Secondo me, sì. Perché? Per un semplice motivo: l’Europa è ostaggio dei suoi burocrati. E noi tutti cittadini siamo ostaggi, dunque sudditi, di un mostruoso essere senza volto che ogni giorno ruba uno spazio in più di libertà al cittadino. Ci sono centinaia di esempi. Basti dire che adesso l’UE vieta alle aziende europee di produrre tosta pani a 2 slots. Volete far colazione con due belle fette di pane tostato? Non potete tostarle insieme. Prima una, poi l’altra, dopo sei o sette minuti. Imposizione dei burocrati mai eletti di Bruxelles. Motivazione? Risparmio energetico. Una cosa folle: il tempo perso, il tuo tempo, per tostare la seconda fetta non conta. Altro esempio clamoroso, le lampadine a basso consumo: costano il triplo, durano un quarto. E non si sa come smaltirle. Oppure, fari accesi di giorno anche in Italia, Grecia e Spagna. Misura che vanifica, dal punto di vista delle emissioni, tutti gli investimenti (circa 600 miliardi di euro) in fotovoltaico ed eolico fatti dalla UE.

A queste follie senza fine aggiungete che, in più, la GB era, insieme all’Italia, alla Germania e alla Francia, un cosiddetto contribuente netto. Vuol dire che versava più di quanto ricevesse (circa 7 miliardi, ridotti a 5 dopo un furioso negoziato a Bruxelles condotto da Cameron). Quest’anno noi italiani versiamo circa 17 miliardi di euro, ne riceveremo 11 come fondi europei. Disavanzo netto: 6 miliardi. Di più se, come sempre, non riusciremo a impiegare in tempo utile tutti i fondi europei. La Polonia da quando è entrata è quella che ha portato a casa più soldi: 80 miliardi di euro circa dal 2004. Nel 2014 ha ricevuto 17,5 miliardi. Ne ha versati 3,5. Saldo netto positivo 14 Miliardi. Un punto di PIL italiano.

Per quanto improvvido fosse il referendum indetto da Cameron, e i suoi obbiettivi solo di politica interna, per i quali Mr Cameron ha già pagato, dimettendosi, domandiamoci: quale maggioranza di cittadini GB ha votato contro la permanenza e perché? Ultracinquantenni. Perché? Perché non vogliono più essere ostaggi della burocrazia di Bruxelles.

Un paese, la GB, che da secoli si amministrava benissimo con meno di 10000 leggi, adesso ha circa duecentomila deliberazioni di Bruxelles, aventi forza di leggi, alle quali adempiere. Una camicia di forza che si stringe sempre di più.

Gli inglesi hanno detto basta. Con ragione, a mio avviso.

Demolire e poi costruire, su nuove basi. Io non vedrò gli USE, gli United States of Europe. Come in alcune realtà che a Roma si conoscono bene (ATAC e AMA, ad esempio), l’Unione Europea così com’è, è irrimediabilmente irriformabile. Spero che l’uscita della Gran Bretagna, e quella prossima di Ungheria e Repubblica Ceca serva a demolire quella esistente. Così come farei con ATAC e AMA, portando i libri in tribunale e dichiarandone il fallimento, licenzierei tutti. Se dopo quasi sessant’anni non si è riusciti a farla funzionare, questa unione, è ovvio che non si potrà mai, così com’è congegnata.

Mi auguro che, dichiarato fallimento e sciolta l’organizzazione, se ne costruisca una nuova. Con pochi paesi, 6-8, e non se ne ammettano altri finché non ci sia un vero stato federale europeo, con la stessa lingua, la stessa polizia, la stessa moneta, la stessa istruzione, lo stesso esercito. Cosa che impegnerà almeno 2, 3 generazioni. Poi, e solo poi, si potrà pensare di ammettere nuovi membri. Uno ogni vent’anni.

 

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