di Mario Giardini
Era domenica, quel 17 settembre 1944. Un’assolata domenica di settembre. I londinesi tutti, uno dopo l’altro, abbandonarono quel che facevano per correre fuori, a guardare in alto. Il rombo era assordante. Sulle loro teste, a non più di cinquecento metri di quota, sfilavano lenti, uno dopo l’altro, migliaia di aeroplani.
Per quasi due ore e mezza, a partire dalle 9.45 ora di Greenwich, quasi seimila fra aero trasporti, bombardieri, caccia e aerei di traino, si disposero in formazione e si diressero, su due rotte principali, verso est.
Quella in partenza era una armada eterogenea. Sui C 47 (la versione militare del celeberrimo DC 3), raggruppati in formazioni di 45 aerei ciascuna, viaggiavano i paracadutisti della 82° e 101° divisione americane, comandate dai generali Gavin e Maxwell Taylor, della 1° Divisione Aviotrasportata Britannica agli ordini del Generale Urquhart e della 1° Brigata Aviotrasportata Polacca, agli ordini del Generale Sosabowski).
Altre truppe e mezzi erano imbarcati su alianti (Horsa e Waco). A protezione, non meno di 1500 caccia americani ed inglesi (Spitfire, Typhoon, Mosquito inglesi, Thunderbolt, Lightning e Mustang americani). Prima del decollo dei paracadutisti, centinaia di bombardieri e di caccia bombardieri erano decollati. La missione era di distruggere, se possibile, tutte le postazioni antiaeree tedesche in Olanda, lungo la direttrice Eindhoven, Nimega, Arnhem.
I londinesi, senza saperlo, assistevano alla partenza della più grande operazione aviotrasportata della storia: quella cui si era data il nome in codice di Market-Garden. Quella che vedevano era l’avanguardia di trentacinquemila paracadutisti che avevano il compito di catturare intatti, prima che i tedeschi potessero attivare le mine e distruggerli, tutti i ponti fra la frontiera tra Olanda e Belgio e la Germania.
Questa era la parte Market del piano. I ponti avrebbero dovuti essere presi, e tenuti, finché i carri del 30° Corpo del Generale Horrocks fossero arrivati a consolidarne il possesso (parte Garden dell’operazione). Il passo successivo sarebbe stato l’invasione della Germania e la corsa verso Berlino, per porre fine alla guerra.
Dopo l’invasione della Normandia, in appena mesi (D-Day, 6 giugno 1944), gli alleati avevano percorso più di 700 km, arrivando, a sud con la 3° Armata di Patton, alla frontiera tedesca (Ruhr), e a contatto diretto con la linea Sigfrido. Al Centro, il 12° gruppo di Armate di Bradley, aveva raggiunto Bastogne e il Lussemburgo. A nord, il 21° Gruppo di Armate di Montgomery era giunto alla frontiera belga-olandese, conquistando Anversa, Ostenda e Maastricht, e si era attestato sulla Schelda.
Sembrava a tutti che fosse giunto il momento di sferrare il colpo finale e porre fine alla guerra. Ma le linee di rifornimento erano così allungate che la logistica era al collasso. I carri armati erano fermi per mancanza di benzina. Gli uomini, logorati quanto i mezzi. Pochi l’avevano capito, ma gli Alleati erano al limite ed erano costretti ad arrestarsi, a causa del proprio successo. O volontariamente, o costretti dall’usura di mezzi e uomini, o dalla penuria di rifornimenti.
Tutti, però, e cioè Patton, Bradley e Montgomery volevano essere scelti per sferrare il colpo finale. E, ovviamente, pretendevano la priorità nei rifornimenti. Fu in questo clima (esasperato dalla necessità di utilizzare in battaglia le divisioni aviotrasportare, oltre 35000 uomini super addestrati, costrette, dai primi giorni di giugno, all’inattività) che venne concepita, tra l’8 e il 10 di settembre 1944, l’operazione Market-Garden.
Era un piano brillante, perfino geniale: combinare una operazione dall’aria con un blitz risolutivo di truppe corazzate a terra. Audace sino al limite della temerarietà: si dovevano Poteva, però, far finire la guerra prima del Natale 1944. Con un immenso risparmio di vite umane, sia tedesche, che alleate.
L’operazione dall’aria era troppo grande per le capacità logistiche e di trasporto degli Alleati. Ciò costrinse a pianificare l’arrivo di mezzi e uomini in tre giorni, invece che eseguirli con un solo, singolo lancio. Si scelse di paracadutare uomini e mezzi di giorno: una bestemmia, fino a quel momento, se riferita ad operazioni di paracadutisti.
E, per Arnhem, si scelsero zone di lancio troppo lontane dall’obbiettivo più importante dell’intera operazione: la cattura del ponte sul fiume Reno. La porta attraverso cui si sarebbe penetrati per invadere il Reich.
C’erano altri punti deboli, nel piano: le truppe di terra dovevano percorrere 120 km per arrivare ad Arnhem, ma su un’unica strada. Ci fu chi pensò che sembrava folle riprendere l’offensiva per sferrare il colpo del ko a Hitler su un fronte costituito da un solo carro armato.
Alla fine, prevalse l’ottimismo, e il desiderio, quasi nevrotico, di impiegare le truppe aviotrasportate. Alcuni segnali di pericolo furono ignorati. La resistenza olandese segnalò che la ritirata tedesca dei primi giorni di settembre, frenetica e disordinata, era cessata. Le truppe si riorganizzavano. La ricognizione aerea segnalò carri armati nei pressi delle zone di lancio di inglesi e polacchi a Arnhem. E poi, ci si mise il cattivo tempo a ostacolare il tutto.
Durante lo studio del piano ci fu chi disse: “Stenderemo un tappeto di truppe aviotrasportate fra qui – indicò Eindhoven – e qui – e indicò Arnhem. I nostri carri ci correranno sopra”. Uno dei presenti, pur non obiettando contro l’ottimismo prevalente e la voglia di impiegare le truppe aviotrasportate prima che la guerra finisse, pensò: “Speriamo sia un tappeto di truppe vive”.
Il primo giorno ci furono episodi di ogni genere, tragici e, se non sembra irriverente, anche divertenti.
Un caccia americano, mitragliando postazioni tedesche, fu colpito e, in fiamme, si accinse all’atterraggio su un campo nei pressi di paracadutisti americani. Si spezzò in diversi pezzi, prima perdendo le ali, poi la coda, e poi il motore. Incredibilmente, il tettuccio si aprì e ne venne fuori il pilota, incolume. Alla domanda del perché non si fosse lanciato col paracadute, rispose: “Ah già…giusto. Il paracadute. No. Avevo troppa paura”.
Un’altra scena simile si svolse poco lontano. Stavolta, il caccia riuscì a fare un atterraggio meno violento e si fermò, quasi intatto, di fronte a paracadutisti della 82°. Il pilota saltò fuori dall’abitacolo e chiese in prestito un mitra. Si allontanò correndo verso la boscaglia gridando che “aveva visto dove si era nascosto il figlio di puttana che lo aveva abbattuto e voleva fargliela pagare”.
Le sorti della battaglia furono decise dal fato lo stesso giorno in cui Market – Garden veniva approvato. Fu una decisione di Von Rundstedt, appena richiamato da Hitler al comando del fronte occidentale. Per fare riposare e riorganizzare due divisioni corazzate, la 9° Hoenstaufen SS e la 10° Panzer Frunsdberg, voleva allontanarle dal campo di battaglia. Fra il 5 ed il 6 settembre 1944 emanò un’ordine perché si trasferissero in una zona considerata molto tranquilla e fuori dalla zona dei combattimenti. Lì avrebbero riposato, fatto manutenzione, ricevuto nuovi mezzi e un rinforzo di uomini.
La zona prescelta era in Olanda: nel triangolo fra Boekbergen, Doetinchem e Arnhem.
A portata di tiro dei cannoni dei Tigre sarebbero scese la 1° Aviotrasportata Inglese e il 1° Battaglione Polacco. Per quanto malconce, erano pur sempre due divisioni corazzate tedesche contro i paracadutisti, fanteria leggera. Non poteva esserci partita. E, purtroppo per gli Alleati, non ci fu.
Nonostante l’evidente inferiorità di mezzi in campo, tutti i ponti furono presi intatti, e tenuti, fino al 26 settembre. Ma la marcia in terra si arenò subito. I carri di Horrocks non arrivarono mai a Arnhem. La più grande operazione aviotrasportata della storia si tramutò nel più grande disastro aviotrasportato della storia. La 1° di Urquhart ebbe perdite terrificanti: dei circa diecimila uomini paracadutati, solo 2226 fecero ritorno in patria. 1432 furono le perdite della 82° Americana. 2110 quelle della 101°.
Il 10 settembre, dopo l’incontro durante il quale Eisenhower aveva approvato il piano Market-Garden, Montgomery si riunì col Generale Browning, capo delle forze aviotrasportate di sua Maestà. Indicando sulla carta il ponte di Arnhem, domandò per quanto tempo i paracadutisti avrebbero potuto tenerlo. Browning, prima di rispondere, chiese: “In quanto tempo le truppe di terra ci raggiungeranno?” “Due giorni” fu la risposta. Guardando fissamente la carta, Browning rispose: “Possiamo tenerlo per quattro. Ma, Signor Maresciallo, temo che quell’ultimo ponte sia un po’ troppo lontano”.
Cornelius Ryan
Quell’ultimo ponte (titolo originale: A bridge too far)
1974
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