Ho appena finito di leggere un breve ma denso testo. Ha per titolo: “GLOBALWARMING”. E per sottotitolo: “A case study in groupthink”.
L’autore è un noto giornalista inglese, Christopher Booker.
Di cosa tratta il libro? Esattamente di ciò che da anni rappresenta un mio personale cruccio: come è stato possibile, nel XX secolo, il secolo del disincanto, del tramonto violento delle ideologie, della diffusione planetaria del sapere e dei mezzi per raggiungerlo, creare quella nuova religione assolutista, tirannica e vendicativa che va sotto il nome di global warming?
Un punto di partenza è Charles Mackay: “uomini pensano come greggi, diventano folli come greggi, e recuperano il loro buon senso lentamente, uno alla volta” (Charles Mackay, Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds). Ci sono innumerevoli esempi, anche nel XX secolo, che possono illustrare la follia delle masse: il comunismo, il fascismo, l’odio contro gli ebrei, ecc.
Un altro studioso, Irving Janis, ha usato il termine groupthink, pensiero di gruppo, per definire questo aspetto caratteristico della psicologia umana. Quello cioè di accettare un particolare modo di pensare, senza sottoporlo al vaglio della propria ragione. Si tratta di una sorta di contagio intellettuale.
Secondo Janis, ci sono tre regole per riconoscere questo tipo di pensiero. La prima è che nasce all’interno di un ristretto gruppo di persone, capaci di costruire un modo di vedere (una vision si direbbe in inglese) o una credenza su un particolare tema che in qualche modo non è basata sulla realtà. Il gruppo può credere o affermare di disporre di un grande numero di prove che confermano la propria opinione. Ma in realtà, una dimostrazione che l’opinione sia vera al di là di ogni dubbio, non esiste.
Ciò porta alla regola numero due: non esistendo prova esterna, nasce la necessità di rinforzare l’autorevolezza del proprio sentire elevandolo a una situazione di “consenso” generalizzato. Coloro che accettano il “consenso” finiscono per sentirsi moralmente superiori. E il sentire comune diventa così evidente che ogni persona che ragioni correttamente deve concordare con esso. Diventa dunque necessario difendere il “consenso” ad ogni costo, impedendo a chiunque di poterlo mettere in dubbio o sfidarlo.
La terza regola è una conseguenza delle prime due ed è rivelatrice: tutti devono appoggiare attivamente il “consenso”. Le idee di chi non lo fa diventano totalmente inaccettabili. Bisogna rifiutare ogni possibile dialogo. Chi dissente deve essere escluso da ogni ulteriore discussione. Nel migliore dei casi, verranno ignorati. Nel peggiore, attaccati sul piano personale, screditati, ingiuriati. Il dissenso non è tollerato.
Infatti, chi dubita della fondatezza del “consenso” sul global warming è stato inizialmente definito “scettico”. Poiché la definizione non era sufficientemente contundente e dispregiativa, adesso lo si definisce come un “negazionista”. Parola che, come tutti sanno, è associata alla negazione storica della shoah da parte di storici neonazisti.
Chi aderisce al consenso è talmente certo del proprio credere da diventare estremamente aggressivo, talvolta violento, nei confronti di chi dissente. E nessuna idea o fatto che contraddica il credo può essere preso in considerazione. L’assolutismo del credo viene così stabilito e mantenuto nel tempo. Assolutismo che per qualche arcana ragione acquista anche prestigio: diventa così diffuso ed universale, che si autoalimenta e propaga anche in ragione di questa forza misteriosa.
E’ facile riconoscere qui sopra le caratteristiche tipiche di ogni religione o culto impostosi nel corso della storia umana.
Booker ripercorre gli eventi che hanno creato il mito, e la conseguente religione, del global warming.
Già all’inizio degli anni ’70, un oscuro ed eccentrico individuo di nome Bert Bolin, alla guida di un ristretto gruppo di meteorologi internazionali, sosteneva che l’anidride carbonica (CO2), un gas “serra”, aveva delle proprietà tali che avrebbe finito per causare il riscaldamento globale del pianeta e un continuo aumento della sua temperatura media.
Queste idee erano in netto contrasto con la realtà: si osservava in quegli anni una diminuzione delle temperature e si temeva una nuova era glaciale, come dimostra la copertina di Time e una serie di innumerevoli articoli scientifici. Tuttavia, a metà degli anni ’70 si osservò una inversione e le temperature cominciarono a risalire gradualmente.
Le idee di Bolin furono presentate nel 1979 alla World Climate Conference, organizzata dalla Organizzazione Meteorologica Internazionale. Le sue idee risuonarono così convincenti che si stabilì di organizzare una nuova conferenza, nella quale la teoria di Bolin sarebbe stato il top dell’agenda. L’evento ebbe luogo a Villach, in Austria, dove per la prima volta venne affermato e preso sul serio lo “human-induced climate change”, e cioè l’origine antropica dei cambiamenti climatici.
Si costituì il primo, ristretto gruppo, cui apparteneva sia il capo dell’Ufficio Meteorologico del Regno Unito, Houghton, e Maurice Strong, capo dell’Agenzia ONU per il Programma Ambientale (UNEP, United Nations Environment Program). Strong sapeva quasi nulla di ambiente, e molto meno di meteorologia. Ma aveva una sua agenda politica. Che in parte aveva perseguito cavalcando l’isteria che circondava in quegli anni il Buco dell’Ozono nell’alta atmosfera terrestre. Ma che venne prepotentemente rinforzata dal man-made global warming. Fu lui che nel 1988 finalmente assistette alla creazione di un nuovo ente ONU: l’IPCC (Inter-govermental Panel on Climate Change).
A capo di questo nuovo ente venne messo Bolin. A capo del cosiddetto Working Group I, Houghton. Questo gruppo di lavoro aveva per compito primario quello di occuparsi dei fondamenti scientifici del global warming.
Nel 1990 uscì il First Assessment Report dell’IPCC. L’aspetto fondamentale del rapporto era la decisione di porre al centro dell’attività l’utilizzo di “modelli”, programmati al computer in maniera tale da rispondere alla domanda: cosa accade alla temperatura del pianeta all’aumentare della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera?
La risposta, per incredibile che possa apparire, variava a seconda di quale parte del documento si leggeva.
Se ci si soffermava solo sul Summary for Policymakers, si leggeva che: “in base ai nostri modelli attuali, le temperature saliranno come mai negli ultimi 10000 anni. E’ possibile che l’aumento raggiunga i 0,5° ogni dieci anni”. Il Summary era stato scritto da Houghton e, come spesso capita, fu il solo documento a essere letto (forse). Si noti che negli ultimi cento anni la temperatura media del pianeta (pur con tutte le incertezze che comporta il risalire a valori misurati nel corso del XIX secolo), era stata stimata in soli 0,6°C. In pratica, il modello prediceva un’accelerazione del riscaldamento di dieci volte!
Se invece si leggevano le altre centinaia di pagine, redatte dagli scienziati del Working Group I, la conclusione era assai più cauta e molto meno catastrofica. Infatti si poteva perfino leggere: “ … un riscaldamento globale di proporzioni maggiori (di quelle odierne ndr) si è certamente avuto almeno una volta nel passato a partire dall’ultima glaciazione, e ciò è avvenuto senza che si verificasse un apprezzabile incremento nella presenza di gas serra… e poiché noi non comprendiamo le ragioni che hanno portato a questi eventi passati di riscaldamento, non è possibile attribuire una specifica quota del recente, minore riscaldamento, all’aumento dei gas serra”.
Indovinate cosa finì sulle prime pagine dei giornali e nei notiziari tv? L’allarme era lanciato: il pianeta sarebbe andato letteralmente a fuoco se non si prendevano urgenti e adeguate misure su una scala mai vista in passato. Misure che, ça va sans dire, sarebbero costate migliaia di miliardi di euro. Migliaia.
Da allora una intensa e martellante campagna di convincimento del cittadino comune è stata portata avanti da ambientalisti, media e politici.
Possiamo chiederci a che punto siamo oggi, nel 2018?
Incominciamo con il dire che l’edificio costruito nel modo raccontato mostra gravissime crepe, ed è sempre più prossimo al crollo.
Vediamo quali.
La prima, la più importante, è che le previsioni che i modelli sui quali si sono fondati i ripetuti allarmi che un giorno sì e un giorno no, compaiono sui media, si sono rivelate errate. Nessun modello è stato in grado di prevedere correttamente l’andamento delle temperature medie che si sono verificate a partire da metà degli anni ’70 fino a metà degli anni ’90.
Quel che è peggio, è dal 1998 la temperatura media del pianeta non aumenta più. La lobby ambientalista ha dovuto prenderne atto, sia pure a denti stretti.
Lo ha definito hyatus, cioè uno iato, una stasi, una pausa. Il fatto è che nel frattempo, la CO2 presente nell’atmosfera è aumentata del 8%. E questo 8% rappresenta comunque ben il 34% di aumento di CO2 attribuito alle attività umane. Come è possibile, dunque che la temperatura media sia stagnante (con lievi tendenze alla diminuzione? ndr) Dov’è finito il calore intrappolato dall’anidride carbonica?
Alla lobby ambientalista non manca l’immaginazione. La risposta è: in mare.
Il guaio è che ogni anno compaiono centinaia di articoli scientifici peer-reviewed che mettono sempre più in dubbio il mito del global warming. Un elenco di questi articoli, non esaustivo, e che riguarda il 2015 e il 2016, che contiene i links alla pubblicazione, può essere trovato qui.
Si è rivelato un guaio anche Mr Trump, che ha ritirato l’America dall’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. D’altronde, come dargli torto?
L’accordo prevede che i paesi industrializzati riducano fino al 80%, a carissimo prezzo, le emissioni di C02, e costituiscano un fondo, cui attingeranno i paesi poveri (cioè le burocrazie, i governi, le infinite e avide mani che conosciamo bene), sul quale verseranno 100 (cento!) miliardi di dollari ogni anno, a partire dal 2020. Il più grande furto mai progettato a livello planetario.
L’accordo non impone ai paesi poveri di tagliare le emissioni. Poiché si concede che debbano utilizzare qualsiasi mezzo a disposizione per recuperare il gap economico con i paesi più ricchi, in pratica possono fare quel che vogliono. L’accordo li obbligava, semplicemente, a inviare un documento dichiarando quanta CO2 intendessero emettere ne prossimi anni (Intended Nationally Determined Contribution, INDC). Naturalmente, i documenti sono finiti adeguatamente sepolti fra le migliaia di altri che la lobby produce in continuazione. Tuttavia, il tempo dell’acquiescenza supina pare finito. Qualcuno li ha dissotterrati. Li ha letti. E ha fatto i conti, non facili, per la verità.
L’India, per esempio, intende duplicare le proprie emissioni nei prossimi anni, aumentandole di 4.895 Mt. La Cina intende addirittura triplicarle, incrementandole di 10.871 Mt. In breve: 13 dei 20 paesi aderenti al G20 continueranno allegramente ad aumentare le proprie emissioni. Secondo quanto desumibile dai INDC’s, nel 2030 il totale globale sarà aumentato di circa il 47% rispetto al livello attuale.
Come dare torto a Trump?
Dopo il ritiro degli Stati Uniti, gli unici paesi che rimangono vincolati a ridurre le emissioni sono i 28 della UE, più il Canada e l’Australia. Nonostante contino per appena l’11,3% delle emissioni, si sono collettivamente impegnati a diminuirle di 1.700 Milioni di tonnellate. Mr Tafazzi è all’opera, come sempre.
Infine, un’ultima considerazione. Il “consenso” scientifico non sempre è una garanzia di ragionevole certezza su argomenti scientifici. Se così fosse, non nascerebbero i Copernico, i Galilei, gli Einstein, i Newton. Individui che sono stati capaci di ignorare il “consenso” scientifico che hanno trovato nei loro campi di specializzazione e lo hanno, semplicemente, demolito.
Non è scienza quella che evita il dibattito sulle proprie affermazioni e demonizza il dissenso. E non è scienza quella che si basa prevalentemente su modelli, è solo una parodia di scienza.
Il testo di Booker è in inglese, e non ne esiste una traduzione, che io sappia. Ma invito a leggerlo: è assai istruttivo. Potete scaricarlo gratuitamente da qui.
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